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Negli ultimi decenni lo spunto individualistico alla ricerca della
dimensione della unicità, porta all’isolamento inducendo il
sentimento della paura e della insicurezza che striscia dentro di
noi e poi ammorba i comportamenti, li deforma e li sostiene con
l’utilizzazione del massimo dell’egoismo del quale è fatta la
cattiveria; strumento e motivazione oscena per spostare la soglia
della pietas, per mantenere ambiti di apparente sicurezza a fatica
conquistati. L’etimologia della parola cattivo, cattiveria, è
sicuramente dal latino “captivus” cioè prigioniero, che nella
lingua cristiana si arricchisce della specificazione
“diaboli”, captivus diaboli, «prigioniero del diavolo” e quindi
malvagio.
Quelle piccole impresentabili inclinazioni stanno diventando
costume e metodo delle relazioni. Si osservano rendite elettorali
e fortune politiche fondate sull’uso della cattiveria, sullo
sparlare e sullo scandalizzare in segno di sfida, con la copertura
di campagne mediatiche denigratorie e ben orchestrate. Vecchie
regole se non eterne, si dirà, prevedono da sempre che il
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