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Luigi Intrieri
DON CARLO DE CARDONA
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Franco Petramala
Mi giunse sbiadita, giovane dirigente
democristiano, la figura di Don Carlo De Cardona.
Sebbene affascinato dai valori del popolarismo cristiano, convinto della
dominanza ispiratrice nella cultura cattolica, tuttavia nulla mi aveva
incoraggiato ad approfondire ed indagare l’opera e la testimonianza di
Don Carlo De Cardona.
Devo confessare che qualche volta mi sfiorava l’idea che l’attivismo di
De Cardona, di cui c’era comunque traccia, avesse impedito in qualche
modo la esposizione della sua vita e delle sue opere, in concomitanza di
vicende umane intrecciate alle passioni proprie della politica.
Rimasi perciò sconcertato, molti anni orsono, allorchè partecipando da
invitato ad un Congresso delle Casse Rurali ed Artigiane, entrando nella
enorme ed affollatissima sala, fui colpito da una gigantografia del
prete cosentino che campeggiava alle spalle delle presidenza.
Mi capitò poi di imbattermi in figure significative del clero
per gli aspetti sociali del popolarismo cristiano, come Don
Caporale, Don Squillace e Don Luigi Nicoletti.
Ho letto il saggio di Don Vincenzo Bertolone “Don Carlo De Cardona prete
soltanto prete” e ho letto il libro di Luigi Intrieri che, non
trovandolo in libreria, ho ricevuto in omaggio cortese dall’Autore.
Mi ha colpito l’energia la generosità e la convinzione con cui Don Carlo
agiva per il riscatto degli operai, dei contadini e degli umili
lavoratori. E mi ha colpito allo stesso modo il senso cristiano e lo
spirito dell’appartenenza di Don Carlo alla Chiesa, la sua coerenza.
Ho avvertito, dal raccontare pregevole di Luigi Intrieri, così come
dalle fonti rigorosamente riportate nel testo, un senso pieno della
missione di De Cardona, missione sociale in spirito cristiano. Sicchè
adesso mi è chiaro il senso del titolo del saggio del Bertolone “Prete
soltanto Prete”, che a primissima lettura mi aveva suggerito una idea
escludente e non includente della sua dedizione al mondo del lavoro.
Ho colto una verità che ho sempre conservato nella mia coscienza, che
cioè la generosità non basta, l’adoperarsi per il prossimo non basta,
ascoltare la propria coscienza e ritenersi cristiano non basta, seguire
la propria natura di uomo, non basta. Non basta la gratificazione delle
opere, e l’uomo De Cardona avrà avuto la percezione della dimensione
della sua coscienza di cristiano allorchè ha avuto come compagna anche
la sofferenza.
La sofferenza delle difficoltà, del non essere capito
e riconosciuto, della delusione, della violenza che gli altri
fanno quando mostrano di “non credere”; la ammirevole personalità di
questo Prete si evidenzia allorchè dalla Banca dell’Agricoltura nel
1935, viene la richiesta del suo “opportuno allontanamento”.
Ed egli obbedisce non so se perché prete
o perché autore delle opere compiute.
E la sua personalità si evidenzia in un’altra circostanza: quella del
mancato riconoscimento nel 1946 del suo valore di amministratore,
allorchè non viene eletto Consigliere Comunale di Cosenza e viene
contestato per non avere salvato dal fallimento la Cassa di Cosenza
dalla aggressione del regime fascista.
Ed egli si avvia per la seconda volta all’esilio di Todi, ed egli non
reagisce, anzi in silenzio
andò via per poi tornare.
Mi ha colpito il suo modo di essere popolare, moderato e coraggioso,
temerario per i conflitti esistenti dalla fine dell’ 800 fino al
fascismo compiuto. E non solo mi ha colpito quel richiamo sempre vigile
all’unità solidale, valore avvertito sia nella comunione con chi
professa la medesima fede religiosa sia con chi ha i medesimi bisogni,
come i lavoratori. Modernissimo per le vicende socio politiche dal
dopoguerra fino al 1994, attuale nei tempi che viviamo.
Parlava di costituzione di gruppi di interessi personali e il confronto
con le idee socialiste quando positive, non travalicava mai
l’intransigenza rispetto ai suoi valori cristiani, anche quando forte
emergeva il suo “classismo”.
Era un intransigente: sicuramente di prezioso ci ha lasciato questo che
a volte è un valore, l’intransigenza. Se al sorgere del fascismo si
fosse tenuto, da parte di tutti, l’atteggiamento intransigente, la
sopraffazione istituzionale e fisica non avrebbe avuto alcuna
possibilità di prevalere.
piace infine riportare così:“Nel paganesimo (….) lavorare voleva dire
servire, cioè sacrificarsi nell’interesse e secondo volontà di altri,
che erano i padroni, (…). Nel cristianesimo (….lavorare voleva dire
liberarsi (….). Oggi la questione è’ qui: in che modo e fino a che
punto, il lavoratore, perché sia veramente libero, avrà il possesso
degli strumenti del suo lavoro (….): la macchina il denaro, la terra (
lo scritto è del 1920 ).
Il pensiero lo associo alla attuale condizione dei lavoratori, dei
precari vessati e dei lavoratori, la maggior parte, che temono per il
loro lavoro.
Stralcio del Capitolo
Secondo di
Don Carlo De Cardona
SEI Editore
1996
2.
<<un'opera che unisca i lavoratori nella fraternità evangelica>>
(1901-1902)
1.
La
Cooperativa cattolica di credito.
Dal n. 30 del 12 dicembre 1898 al n.
13 del 1899 "La Voce cattolica" pubblicò a puntate un lungo estratto
dal periodico "La cooperazione popolare" di Parma, organo di don
Luigi Cerutti <<infaticabile
apostolo delle casse rurali cattoliche>>1. Nell'estratto
si illustravano le caratteristiche della Cassa cattolica operaia,
che, come abbiamo prima riferito, nel 1898 era stata creata a
Cosenza all'interno della Società cattolica operaia di
carità reciproca e funzionava egregiamente.
Successivamente, nel novembre del 1900 don Carlo invitò i cattolici ad
unirsi e fondare una cassa operaia o banca popolare2 di
ampio respiro. L'invito venne accolto da varie personalità e nel
febbraio del 1901 egli annunziò la prossima costituzione di una
cooperativa di credito e rinnovò la preghiera ad agire:
Una calda quanto umile preghiera noi ci permettiamo di dare
col dovuto rispetto ai nostri cari sacerdoti e a
quanti sono cattolici di buon
volere: deh! non dimentichiamo che il Papa ha parlato e ha parlato
chiaro per tutti. Noi non possiamo più contentarci delle
feste religiose e delle pratiche del culto: noi dobbiamo dedicarci
con entusiasmo e con santo ardire all'azione popolare
cristiana, praticando con serietà di opere salutari il precetto
dell'amore fraterno imposto da Gesù Cristo3.
Poco dopo espose un vasto disegno,
presentato come un auspicio:
Se in ogni paese sorgesse una istituzione nella quale i
contadini e gli artieri si affratellassero nel sentimento di una
solidarietà invincibile e integra... Se nel petto di questi figli
della gleba, di questi servi del lavoro si alimentasse la fiamma
dell'amore cristiano che non conosce confini, né ostacoli, né paure,
né viltà... Se questi operai si decidessero, con i piccoli risparmii
del loro pur meschino salario, a formarsi un capitale collettivo da
servire e ai bisogni più urgenti di ciascuno e alla difesa dei
dritti del lavoro e alle imprese ardite che ridondassero a un
progressivo miglioramento delle istituzioni, del ceto, delle
industrie... Se si moltiplicassero tali istituzioni e si
stringessero in un fascio sotto gli auspicii di chi è posto a
diffondere l'Evangelo di Cristo...
allora un nuovo soffio di vita
si sprigionerebbe dalle viscere del popolo, e tutti gli uomini di
cuore avrebbero la gioia di salutare l'alba del vero domani
della Calabria4.
E ritornò a invitare i cattolici a
muoversi, a non perdere tempo e a
organizzare una società operaia, una cooperativa di credito
(sia pure con un capitale di poche lire), una scuoletta serale, un
patronato di carità, un'opera insomma che unisca i lavoratori nella
fraternità evangelica e manifesti la virtù rigeneratrice del
Cristianesimo5.
Il 12 marzo successivo venne rogato a
Cosenza l'atto costitutivo della Cooperativa cattolica di credito
fra gli operai.. Lo sottoscrissero 26 soci, fra i quali
l'arcivescovo Sorgente, i parroci Giuseppe Candelise e Luigi
Cribari, i sacerdoti Alessandro Buccieri, Carlo De Cardona e Antonio
Perri, l'avv. Francesco Magliari
e alcuni commercianti, possidenti, professionisti, operai e
contadini;
ma nonostante il nome la presenza degli operai era minima. La
Cooperativa aveva come fine il miglioramento morale ed economico del
ceto operaio; il suo capitale era costituito da azioni nominative di
L. 25 ciascuna, che potevano essere cedute solo con l'approvazione
del consiglio di amministrazione. Per favorire coloro che non erano
in grado di acquistare una singola azione, e quindi per coinvolgere
anche gente umile, lo statuto della Cooperativa prevedeva la
possibilità di ammettere soci che sottoscrivessero a rate un quinto
di un'azione, purché completassero il
pagamento entro un anno. La
Cooperativa cominciò a funzionare il 15 giugno nel secondo piano del
palazzo arcivescovile, aprendo gli sportelli soltanto nei
pomeriggi di martedì, giovedì e sabato, e concedeva prestiti
all'interesse del 5% posticipato6. Come primo presidente
venne eletto il barone Adolfo Collice, che rivestiva anche la carica
di presidente del comitato diocesano dell'Opera dei
Congressi7
"La Voce cattolica" diede l'annunzio della sua costituzione con una nota
di cronaca in seconda pagina8, e ciò contrastava con la
ricchezza di notizie riguardanti gli altri aspetti della vita
cattolica cittadina. Probabilmente De Cardona non ne era del tutto
entusiasta per la presenza troppo
forte di esponenti della nobiltà
e della borghesia cosentina. Fin dal primo momento cercò di favorire
l'indirizzo sociale della vita e delle attività della
Cooperativa: infatti, su sua proposta nel 1903 essa modificò il suo
statuto, stabilendo che potevano essere concessi prestiti non solo a
singoli ma anche a cooperative di consumo e di produzione e lavoro,
a casse rurali e a società di mutuo soccorso9. In seguito
don Carlo assunse una posizione fortemente critica. Nel 1905
sostenne che la Cooperativa doveva rimanere nelle mani degli operai,
i quali l'avevano creata <<per liberarsi dall'usura, aperta e
sfacciata, o burocratica ed elegante, e per liberarsi soprattutto
dal servaggio>>, perché <<il sangue di un'istituzione cristiana
dev'essere l'ideale, non il denaro, dev'essere la testimonianza di
sacrifizio a vantaggio degli umili e non viceversa>>10.
Nel 1907 criticò aspramente l'indirizzo affaristico assunto dalla
Cooperativa e la invitò a togliere l'aggettivo <<cattolica>> dal suo
nome11. Il 16 marzo 1908, durante l'assemblea degli
azionisti, avanzò ufficialmente questa proposta; ma essa venne
respinta. Lo svolgimento dell'assemblea, l'influenza esercitata
sulle votazioni e soprattutto l'andamento generale dell'istituzione
convinsero De Cardona a ritirarsi. Infatti al termine delle
votazioni, pur essendo stato eletto sindaco supplente, presentò le
dimissioni non solo da sindaco, ma anche da socio12.
Dopo l’abbandono di don Carlo la Cooperativa, che dal 1905 aveva
lasciato il palazzo arcivescovile e si era spostata nel palazzo
Giannuzzi-Savelli, in Via del Seggio n. 413, assunse
ufficialmente il nome di Banca cattolica di Cosenza; nel 1916
si trasformò in società anonima per
azioni14 e nel 1924
cambiò nuovamente il nome in quello di Banca cattolica di
Calabria. Nel 1917 aumentò il capitale sociale da L.
122.605 a L. 300.020 mediante l'emissione di azioni al portatore.
Decise ulteriori aumenti di capitale nel 1923, portandolo a 1
milione, e nel 1929 a 2 milioni. A poco
a poco aprì agenzie e succursali
in varie parti della Calabria: Amantea, Cassano Ionio,
Castrovillari, Corigliano Calabro, Paola e San Giovanni in
Fiore in provincia di Cosenza; Monteleone (oggi Vibo Valentia) e
Nicastro (oggi Lamezia Terme) in provincia di Catanzaro; Reggio
Calabria, Mammola, Oppido e Villa San Giovanni in provincia di
Reggio. La crisi degli anni '30 la colpì duramente. Nel 1929 aveva
una massa di depositi pari a L. 29.394.674, di cui L. 24.165.420
impegnati in prestiti; ma nel 1931 il fallimento di vari debitori la
costrinse a svalutare a zero il capitale e le riserve e a
reintegrarlo aumentandolo a L. 3 milioni15. Tuttavia questa
manovra fu inutile: l'anno successivo dovette chiedere al tribunale
di Cosenza l'ammissione al concordato preventivo, che ottenne con
decisione del 19 giugno 193216; la Cassa di risparmio di
Calabria l’assorbì nel 1933 e i depositanti ricevettero solo il 66%17.
Nel
frattempo don Carlo si era dedicato ai contadini e alle casse
rurali; mentre a sua volta un
gruppo di artigiani e di operai cattolici, che non avevano
rinunciato all'idea originaria del piccolo prestito, nel 1909
costituì una nuova istituzione creditizia, il Piccolo credito
operaio, che operò egregiamente fino alla crisi degli anni '3018.
2. La Lega del lavoro.
Dallla sua costituzione nel 1897 la
Società cattolica operaia di carità reciproca organizzava gli operai
cattolici di Cosenza. Partecipava alle processioni cittadine e prima
di tutto a quella del Corpus Domini19; celebrava
annualmente il 15 maggio l’anniversario della Rerum novarum20
e svolgeva opera di assistenza. Ma, agli occhi di don Carlo,
essa era insufficiente, perché aveva prospettive e finalità
limitate.
Il 27 maggio 1901, con un articolo di prima pagina, firmato <<I
democratici cristiani di Cosenza>>, "La Voce cattolica" annunziò
l'apertura di un nuovo capitolo dell'impegno dei cattolici
cosentini. L'articolo affermava innanzi tutto che,
dopo esser riusciti piuttosto felicemente a far nascere e
verdeggiare per vita intima i tre germogli dell'organizzazione
cattolica cosentina: l'Associazione Operaia di C.R., la Cooperativa
di credito, la Lega di miglioramento delle donne21,
i cattolici cosentini avevano deciso
di dedicarsi alla costituzione della Lega del lavoro:
Il fatto è che noi [...] perché amiamo fortemente il popolo
in Gesù Cristo - non possiamo mirare con animo indifferente la
condizione creata da secoli ai nostri lavoratori, a coloro, che
oltre di essere nostri fratelli, sono, nella chiesa, la parte
migliore e, nella società, i fattori veri e propri della ricchezza
pubblica.
Dopo aver sottolineato la condizione misera dell'operaio, del contadino
e della donna lavoratrice, l’articolo affermava che
La ricchezza dunque deve essere [...] almeno convenientemente
e umanamente distribuita tra capitalista e lavoratore. E'
utopia, è ingiustizia rovinosa la disuguaglianza che divide gli
uomini in due classi, l'una di servi e l'altra di potenti, e che
preclude la via al glorioso avanzarsi della fraternità e della
civiltà cristiana.
Ribadita la convinzione che gli
operai non erano servi, ma erano liberi cittadini, l'articolo si
chiedeva: <<Or chi darà al popolo questa santa e giusta libertà?>> e
affermava:
La libertà vera il popolo se la conquisterà da sé, con le sue
vergini forze e col suo genio ispirato e temprato dall'Evangelo di
Cristo.
Per questo motivo, gli operai
si uniscano nel sentimento della solidarietà di classe - che
è una delle più importanti virtù civiche - e allora: - a) il patto
del lavoro non sarà imposto, ma discusso, alla stregua
della giustizia e dell'equità, fra padroni forti dei loro capitali e
operai ugualmente forti nella loro unione; - b) la voce collettiva
dei proletarii si farà sentire forte e solenne così nelle alte sfere
del governo centrale come in tutte le pubbliche amministrazioni; -
c) i figli del lavoro una volta affiatatisi, potranno di comune
intesa studiare e attuare gradualmente quegli istituti e quelle
riforme che hanno di mira l'educazione morale e civile del popolo,
il miglioramento delle sue condizioni igieniche ed economiche, la
difesa legale dei dritti conculcati, la pace e l'armonia fra le
varie classi sociali22.
All'annuncio del 27 maggio fecero
seguito alcune riunioni per costituire la Lega23. Il 23
giugno successivo, su "La Voce cattolica" apparve un manifesto,
firmato <<Gli operai del Fascio Democratico Cristiano di Cosenza>>,
nel quale si riaffermava l'ingiustizia della condizione operaia e si
esponevano le finalità della Lega del lavoro:
1) L'istruzione e l'educazione degli operai24,
adoperando a tal uopo i mezzi più efficaci della vita moderna
(conferenze, scuole serali, circoli di studii popolari, giornali e
stampe) - 2) Lo studio e la discussione privata e pubblica delle
condizioni morali, igieniche ed economiche del lavoro. [...] - 3)
Stabilire possibilmente d'accordo coi padroni, un minimum per
le ore di lavoro e per la mercede. L'operaio deve avere il riposo
conveniente alla sua educazione morale; [...] - 4) Abituare i figli
del lavoro all'esercizio dei dritti di ogni cittadino, sostenerli
anche nelle legali e pacifiche agitazioni per l'appagamento dei loro
legittimi desiderii. [...] [promuovere] la costruzione di Case
Operaie, nell'intento di abolire quelle che ora sono le tane, le
stamberghe fetide dove si
ammucchiano operai e animali, senza alcun riguardo alla decenza e
all'igiene; - 5) Agevolare agli operai la assunzione
cooperativa di lavori, l'acquisto collettivo di mezzi per il
miglioramento della produzione, l'iscrizione alle società per il
piccolo credito, per l'assicurazione contro la vecchiaia e
gl'infortunii; - 6) Porgere indirizzi e raccomandazioni utili agli
operai emigranti
e inoltre istituire nel proprio seno
l'Ufficio del lavoro e la Cassa per la disoccupazione
forzata. Si precisava, inoltre, che la
Lega si compone di Gruppi professionali e di Sezioni locali,
dipendenti da un Consiglio Centrale residente in Cosenza e
costituito da consiglieri eletti, nei singoli Gruppi col sistema
della Rappresentanza Proporzionale25.
In una nota redazionale si affermava, infine, che le leghe erano volute
dall'Opera dei Congressi e che nel Nord Italia esse erano state già
istituite con l'approvazione delle autorità ecclesiastiche e avevano
dato buona prova di sé. Molto probabilmente questa nota venne
aggiunta per spingere i parroci a collaborare e a vincere tendenze conservatrici
o inerzia. Don Carlo si rivolse anche in modo preciso e
puntuale a una manifestazione di tale tendenza. Infatti, in risposta
a un <<illustre e antico difensore dei dritti della Chiesa>> che
accusava i democratici cristiani di essere <<più intonati al
socialismo che all’ortodossia cattolica>>, scrisse:
Noi miriamo alla reintegrazione della giustizia sociale, ma
per le vie della prudenza cristiana [...] prima di tutto e
sopratutto ci sforziamo di far passare nell’anima popolare il soffio
purificante e vivificante del cristianesimo. [...] In secondo, luogo
ci guardiamo bene dal far balenare dinnanzi alla fantasia dei
lavoratori, ideali lontani e irrealizzabili. Non lo scatto
rivoluzionario per la conquista di una felicità impossibile, ma
l’evoluzione lenta e graduale, nell’ambito delle leggi e in forme
ben definite di miglioramenti economici26.
Per tutto il resto dell'anno il
giornale diocesano pubblicò una rubrica, intitolata
"Conversazioni popolari" e
redatta certamente da don Carlo De Cardona, che illustrava i vari
aspetti della Lega del lavoro in modo semplice e discorsivo.
La costituzione della Lega venne variamente accolta dalla stampa laica
cosentina. La "Cronaca di Calabria", pur confermando la sua
opposizione ai cattolici e ai democratici cristiani, si dichiarò
lieta <<di poter constatare che è per opera loro, esclusivamente,
che è sorta nella nostra città la lega del lavoro>> alla quale
avevano già aderito 300 operai, ma si augurò che essa mantenesse la
sua azione nell'ambito dell'organizzazione economica per
l'emancipazione del proletariato27. "La Lotta", invece, criticò la posizione
assunta dalla "Cronaca di Calabria" e sostenne che gli
<<amanti della libertà e del progresso civile>> dovevano contribuire
<<ad allontanare la classe operaia dalla superstizione e dal facile
inganno, ormai condannati dalla storia>>28. La
"Cronaca" respinse le critiche,
affermando di non condividere affatto le idee clericali, ma ribadì
che <<Senza l'opera del De Cardona Cosenza avrebbe continuato
ad essere ... né carne né pesce>> e ne lodò l'operosità che aveva
scosso Cosenza e anche i liberali29. Decisamente
contraria, invece, la posizione del giornale socialista "Il Domani",
espressa in un articolo significativamente intitolato <<Il pericolo
nero>>30.
Questa levata di scudi contribuì a far celebrare
in modo più spiccatamente anticlericale e con
la partecipazione del sindaco l'annuale commemorazione della presa di
Roma il 20 settembre successivo31. L'allarme durò a lungo
e in un articolo del 1902 la "Cronaca di Calabria" espresse questa
volta la sua preoccupazione per il risveglio clericale,
guidato da
De Cardona, che alla combattività dell'agitatore aggiunge la praticità del
più equilibrato uomo d'affari - il quale senza rumori, ma
silenziosamente ha stretto insieme, come in un fascio, parecchie
centinaia di persone ed ha formato la lega cattolica [...]. E
se in un tempo più o meno vicino Leone XIII sciogliesse i suoi fidi
dal veto alle urne, l'urto non sarebbe irrompente e poderoso e la
vittoria quasi sicura?32.
A tanti anni di distanza ci si può
chiedere come mai gli avversari di don Carlo, e specialmente i
socialisti, invece di limitarsi a dimostrazioni verbali, non
scendessero a contrastarlo sul piano dell’azione concreta. Il
problema è complesso, ma molto probabilmente pesava sui socialisti
cosentini la convinzione del partito socialista del tempo che, per
la mancanza di industrie e quindi di un proletariato industriale,
<<nel Mezzogiorno non fossero ancora maturate le condizioni per lo
sviluppo di un movimento associativo e rivendicativo>> e che quindi
occorreva <<limitarsi ad aiutare i ceti borghesi illuminati a creare
quelle condizioni, economiche e politiche,
in cui finalmente il movimento
operaio avrebbe potuto dispiegarsi liberamente>>33.
Oltre a ciò, i socialisti cosentini erano in maggioranza
borghesi e di formazione prettamente
intellettuale e perciò poco propensi a impegnarsi fra gli operai e i
contadini34. Un loro esponente di primo piano e di
grande valore, come il medico Pasquale Rossi, pur manifestando
apprezzamento per l'azione sociale cristiana fin dal 189535,
era convinto che
Le cooperative, quando non divengano mezzo di creare altri
nuovi piccoli capitalisti, che sfruttino il lavoro dei
loro compagni [...] son sempre
causa certa e costante dell'abbassamento del salario36.
La
manifestazione del 20 settembre 1901 diede origine a una polemica,
nel corso della quale don
Carlo precisò che il movimento clericale, tanto temuto dai laicisti
(socialisti, massoni, liberali ecc.),
è un movimento di idee. Idee che si possono compendiare così:
Giustizia, fraternità, pace, nel nome e in virtù dell’Evangelo di
Cristo [...] Giustizia e quindi [...] lavoro [...]
educazione, [...] partecipazione a tutti i beni della civiltà [...]
Fraternità, cioè organizzazione cooperativa37.
Durante la polemica riapparve il
dottrinarismo dei socialisti cosentini, perché in un articolo sul
“Domani” Pasquale Rossi si chiese a che servissero le leghe, visto
che i salari erano aumentati per il libero gioco del mercato38,
dando così la possibilità a don Carlo di ribattere agevolmente che
esse avevano lo scopo di <<rappresentare la classe degli operai,
farne valere i dritti e promuovere i suoi interessi economici,
civili, politici, morali e religiosi>>39; e in seguito
poté concludere che <<Un programma netto, [...] i socialisti di
Cosenza non l’hanno>>, perché Pasquale Rossi nel n. 36 del “Domani”
aveva scritto che le leghe non servivano e nel n. 39 che occorrevano
<<forme di resistenza>>40.
A fine anno la Lega diede anche una pubblica manifestazione di forza:
400 operai con la bandiera bianca parteciparono infatti a un
congresso unitario svoltosi l’8 dicembre a Cosenza per sostenere i
diritti della Provincia41.
La costituzione della Lega e l'impegno di don Carlo suscitarono
perplessità all’interno della Chiesa cosentina: per quarant’anni,
dalla nascita del Regno d’Italia in poi, i cattolici si erano
abituati a non prendere iniziative proprie e a rimanere chiusi nelle
chiese, per cui molti avevano finito col credere che questo
atteggiamento corrispondesse alla natura del cristianesimo.
Don Carlo aveva avvertito fin
dal principio il pericolo di questa falsa concezione e le aveva
dedicato vari accenni su “La Voce cattolica” degli anni precedenti. Nel
1902, nel momento in cui si passava all’azione, questa
concezione venne esplicitamente a galla con qualche intervento
scritto:
Proprio l’altro giorno un vecchio giornaletto di Cosenza -
organo dei monarchici conservatori, di certi cattolici non clericali
e ... di qualche prete - facendosi eco dei forti malumori che la
nostra attività democratica va suscitando di giorno in giorno, nel cuore della elité [sic] cosentina,
ci consigliava a non occuparci di politica, e, naturalmente,
a rientrare nel guscio di un santo e innocuo ozio spirituale42.
A questo consiglio seguì il
tentativo di mettere in contraddizione i cattolici di Cosenza col
giornale cattolico di Reggio, “Fede e civiltà”. Don Carlo replicò
che <<Il prete, il cristiano non sopprime l'uomo e il
cittadino>>, che occorreva perciò svegliare i cattolici perché
partecipassero alla vita sociale
e amministrativa, cosa che non era stata mai fatta in Calabria, e
che su questo punto non vi era alcuna differenza con "Fede e
civiltà"43. In novembre ritornò ancora sul problema e
replicando a un ipotetico obiettore, sul rapporto tra la missione
spirituale della Chiesa e il movimento economico e sociale delle
casse rurali, lo invitò a considerare che:
il cristianesimo [è stato] fatto dal suo Divino Istitutore,
per salvare l'uomo - soprannaturalmente: l'uomo intero con la sua
intelligenza, col suo sentimento, coi suoi bisogni, col suo
provvidenziale istinto alla socialità, al progresso; di modo che è
semplicemente un assurdo (oltre che un'eresia) il concepire un
cristianesimo non informatore di tutto l'uomo e della sua civiltà,
ma di una parte soltanto, di quella forse che darebbe meno fastidii
alla pigrizia umana44.
La modernità di queste affermazioni è
evidente: par di sentire l'eco anticipato del Concilio Vaticano II e
del pensiero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II.
Subito dopo la sua costituzione la Lega del lavoro di Cosenza si inserì
nella dialettica cittadina per
portare il suo contributo. Nel giugno del 1902 partecipò a un
comizio unitario cittadino che si concluse con l’approvazione
di un ordine del giorno a favore della legge sul riposo festivo.
Durante la sua redazione don Carlo De Cardona chiese che fra le
motivazioni venisse aggiunto che il riposo era richiesto <<dalla
legittima libertà di coscienza>>, ma l’avv. Mirabello si oppose,
perché veniva richiamata indirettamente l’osservanza del terzo
comandamento45. La posizione di Mirabello mise in
evidenza l’atteggiamento tipico degli anticlericali di ogni tempo:
sventolare la propria libertà di coscienza come mezzo di lotta
contro la Chiesa, ma negarla ai cattolici.
Nello stesso periodo don Carlo
affermò due principi per i quali la Lega si sarebbe battuta: contro
il capitalismo liberistico sostenne che per la formazione della
ricchezza era necessario il lavoro46; contro
l’assistenzialismo di ogni tempo affermò che per far progredire il
Mezzogiorno occorreva
tesoreggiare le energie nascoste in fondo all'anima popolare,
ravvivandola con una sempre più intensa propaganda degli ideali
cristiani, moltiplicandole e fissandole nelle forme più alte di
organizzazioni economiche47.
Durante il 1903 la Lega continuò il
suo sviluppo: Il 25 gennaio il gruppo calzolai rinnovò le cariche48;
in febbraio i giovani allietarono gli adulti con una
rappresentazione teatrale nella <<casa
del popolo>>,
cioè nella sede della Lega49; il 13 aprile si
incontrarono a Catena di Trenta gli operai
della Lega di Cosenza e quelli di
Trenta e dei paesi vicini, presenti i parroci Provieri, Marsico,
Toteda e Del Vecchio: a tutti
parlò don Carlo sulla necessità dell’organizzazione e della
formazione della coscienza di classe50; poco dopo
venne costituita in seno all’Unione del lavoro di Trenta una
cooperativa di consumo51. Nella Lega di Cosenza venne
costituito anche il Mutuo soccorso di cui nel gennaio del 1905
vennero eletti presidente Antonio Cuscini e probiviri il sac.
Giuseppe Lovis, l’avv. Antonio Cundari52,e l’avv.
Francesco Magliari53.
Il successo della Lega era dovuto interamente a don Carlo. Gli avversari
lo compresero perfettamente e diressero i loro attacchi contro la
sua persona. Nel 1902 don Carlo rilevò la lotta condotta contro di
lui sia dai proprietari di Cosenza, che vedevano limitato il loro
strapotere54, sia dai socialisti cosentini, che vedevano
il numero crescente di lavoratori che si univano nella Lega.
A “Il Domani”, giornale socialista di Cosenza, che attaccava
continuamente la “Voce” riportando notizie di immoralità compiute da
sacerdoti di altri luoghi, don Carlo rispose molto semplicemente:
<<La Voce cattolica da anni è compilata quasi sempre unicamente dal
sac. Carlo De Cardona; ebbene sii leale: se hai delle pruove
per mettere alla gogna costui>>, presentale55. In seguito
ampliò la sua critica e mise in evidenza i contrasti all’interno del
movimento socialista: Labriola contro Turati, Kautski contro
Bernstein; e ne concluse che i socialisti non sapevano quel
che avrebbero dovuto fare56.
Richiamò poi lo scontro tra il rivoluzionario Ferri e il riformista
Turati, emerso al congresso di Imola, per concluderne che ai
socialisti restava solo l’<<anarchia>> e lo <<spirito
anticristiano>>57.
Nonostante queste polemiche, don Carlo seguiva con grande apertura
quanto accadeva nel campo socialista. Nel 1903 il capo dei
socialisti cosentini, Pasquale Rossi, tenne un comizio elettorale
per la Provincia e per i lavori provinciali propose <<minimo di
salario, pagamento settimanale, impiego di fanciulli non al di sotto
dell'età legale>>; propose inoltre il rinnovo dei servizi per i
dementi e del brefotrofio, preferendo tuttavia al ricovero dei
bambini la concessione di un sussidio alla madre per allattare il
figlio. Don Carlo intervenne al comizio e accettò queste proposte58.
A chi lo aveva criticato per questi fatti don Carlo osservò che
l’educazione civile e il senso di vita cristiana dovevano essere
molto bassi se era sembrata strana l’affermazione di un principio di
moralità da parte di un sacerdote59.
3. La Cassa
rurale di Cosenza.
Una delle caratteristiche dell'Italia
dell'Ottocento era la miseria dei contadini, come venne ampiamente
messo in evidenza dall'inchiesta parlamentare agraria del 1879-1883,
coordinata dall'on. Stefano Jacini. Ovunque i contadini (piccoli
proprietari, affittuari ecc...) mancavano di capitali e non
riuscivano a ottenerli dalle banche, perché non erano in grado di
offrire garanzie reali
adeguate; perciò erano costretti a rivolgersi agli usurai60.
I monti frumentari e le casse di prestanza agraria, creati in Italia
meridionale dai Borboni, non riuscivano a far fronte alle richieste,
perché in crisi perenne o non sufficientemente diffusi; in ogni caso
non avevano sufficiente snellezza, perché appesantiti dalle
bardature burocratiche tipiche delle istituzioni pubbliche. Per
questi motivi sorse e si diffuse sempre di più l'esigenza di
un'istituzione diversa.
Nel 1864 cominciarono a diffondersi in Italia le banche popolari e
le cooperative di credito, sorte in Germania nel 1849-50 ad opera di
Herman Schulze-Delitzsch per fronteggiare una situazione analoga61.
Il fenomeno interessò anche la Calabria: nel 1874 venne costituita
la Banca popolare vibonese mutua cooperativa a Monteleone
(ora Vibo Valentia), nel 1882 venne fondata la Banca popolare
cosentina a Cosenza, nel 1885 la Banca cooperativa popolare
Umberto I di Cassano Ionio, nel 1886 la Banca cooperativa di
credito di Cotrone (ora Crotone) e la Banca popolare di
Mormanno; altre istituzioni simili sorsero negli anni successivi,
particolarmente nella Piana di Gioia Tauro62.
La maggior parte di queste istituzioni erano delle cooperative; tuttavia
ad esse potevano aderire solo
piccoli industriali, commercianti e proprietari terrieri, perché era
richiesto il versamento di una quota sociale, e quindi non
erano adatte alle esigenze e alle condizioni economiche dei
contadini poveri. Per tale motivo le Banche popolari, pur apportando
notevoli vantaggi ai propri soci, non potevano contribuire a
svincolare i contadini poveri dalla sudditanza economica, che si
traduceva in sudditanza politica e sociale. Si rendeva perciò
necessario creare un tipo di istituzione completamente diversa, che
tenesse conto di questi fatti.
Anche in questo caso la
soluzione venne dalla Germania, afflitta come l’Italia dalla povertà
dei contadini. Nel 1869 Federico Guglielmo Raiffeisen63
aveva costituito un diverso tipo di istituzione creditizia, la
Cassa rurale, le cui caratteristiche peculiari erano l'assenza
di un capitale sociale iniziale e la responsabilità illimitata: i
contadini, infatti, mettevano insieme non i capitali, di cui non
disponevano, ma i loro prodotti e le loro attrezzature64.
Il rapido successo di questa istituzione spinse un israelita, Leone
Wollemborg, a introdurla in Italia: il 20 giugno 1883, infatti, egli
fondò a Loreggia (in provincia di Padova) la prima cassa rurale
italiana65. A poco a poco le casse rurali si diffusero
nelle altre regioni: nel 1884, promossa da Wollemborg, sorse in
Toscana la cassa rurale di Castelfiorentino; nello stesso anno
quella di Fagnigola nel Friuli; nel 1886 le casse rurali
cominciarono a sorgere in Piemonte, poi in Lombardia, nel Lazio,
nell'Emilia, in Sicilia ecc.
L'idea di fondo della cassa rurale, l'aiuto reciproco e illimitato,
corrispondeva in pieno alla visione cristiana della vita e alla
tradizione cattolica delle misericordie e delle confraternite.
L'aiuto da essa fornito ai soci, infatti, superava il semplice
aspetto economico e diventava un mezzo di elevazione sociale e di
liberazione. Il contadino che ricorreva come socio alla propria
cassa per contrarre un prestito rimaneva un uomo libero, non
soltanto perché doveva restituire il capitale con un interesse
limitato, ma anche e soprattutto perché, in qualche modo, egli
concedeva un prestito a
se stesso e non doveva più soggiacere alle angherie di un usuraio o
alla volontà di un padrino economico o politico. Il 16
febbraio 1890 il sacerdote don Luigi Cerutti fondò a Gambarare, in
provincia di Venezia, la prima cassa rurale cattolica e ne propose
la costituzione agli esponenti cattolici di tutta l'Italia. Il
movimento cattolico italiano organizzato nell'Opera dei Congressi
che, stimolato proprio in quegli anni dall'enciclica Rerum
novarum di Leone XIII (15 maggio 1891), rivolgeva la sua
attenzione alla vita sociale e in particolare alle situazioni di
emarginazione, condivise subito la proposta di don Cerutti66.
Il tema delle casse rurali venne discusso e
approvato nel congresso di Genova (1892)67 e poi
ripreso e approfondito in quello di
Fiesole (1896)68. In poco tempo le casse rurali del
Wollemborg vennero superate per
numero e importanza da quelle cattoliche69, tanto che ben
presto l’espressione cassa rurale divenne sinonimo di
istituzione cattolica. In un opuscolo edito a Parma si affermava,
infatti, che le caratteristiche della cassa rurale dovevano essere
la cattolicità dei membri, la circoscrizione parrocchiale, la
solidarietà illimitata, la gratuità degli uffici e la esclusione di
ogni capitale azionario70. Era prevalso il criterio che
la cassa rurale fosse un'opera di solidarietà sociale, espressione
di una comunità che metteva i beni di ciascuno a disposizione di
tutti, secondo la pratica dei primi cristiani di Gerusalemme. Per
questo motivo fino alla crisi degli anni '30 le casse rurali furono
giuridicamente delle <<cooperative a responsabilità illimitata>>.
Nel 1896 il congresso cattolico di Reggio Calabria aveva approvato con
entusiasmo l'idea di costituire ovunque delle casse rurali71.
L'anno successivo la proposta cominciò a trasformarsi in realtà e a
Messignadi di Oppido venne costituita la Cassa rurale di prestiti,
la prima di cui si ha notizia certa in Calabria. La cassa di
Messignadi ebbe vita breve, perché si sciolse dopo appena due anni;
ma il suo esempio venne seguito a Catanzaro, dove il 14 febbraio
1899 venne costituita la Cassa rurale di prestiti. Anch'essa
ebbe vita relativamente breve, perché dal 1909 cessò di depositare i
suoi atti nella cancelleria del tribunale. Negli anni immediatamente
successivi vennero costituite in provincia di Catanzaro altre
quattro casse rurali: la Cassa rurale cattolica "S. Francesco di
Paola" in Maida, il 5 febbraio 1901, che durò per trent'anni;
la Cassa rurale di depositi e prestiti "Sant'Arcangelo" in
Tiriolo, registrata nel 1904, che però non funzionò mai; la Cassa
rurale di depositi e prestiti in Sant'Onofrio, il 4 febbraio
1905, che funzionò fino al 1924; e la Cassa rurale depositi e
prestiti in Maierato, il 2 luglio 1905, che non riuscì mai a
funzionare.
In provincia di Reggio, nello
stesso periodo, erano state costituite la Cassa rurale "S. Nicola
di Mira" in Oppido Mamertina, il 12 novembre 1902; la Cassa
rurale di prestiti "S. Elia profeta" in Condora il 22 marzo
1903; e la Cassa rurale "San Nicola" in Santa Domenica di
Gallico, il 22 maggio 190472. Le prime due durarono a
lungo, mentre quella di Gallico non riuscì mai a funzionare.
La costituzione di casse rurali non era stata inclusa nel programma
della Lega del lavoro di Cosenza. Probabilmente, come appare da una
nota pubblicata il 9 febbraio 1902 su "La Voce cattolica"73,
ciò era dovuto al fatto che si pensava di seguire le indicazioni
nazionali, che prevedevano due organizzazioni distinte: una per gli
operai, la Lega del lavoro, e una per i contadini, l'Unione
rurale, nei cui compiti rientravano anche le casse rurali.
L'organismo creditizio degli operai era la Cassa operaia
cattolica, di cui abbiamo già trattato, e che venne proposta
ancora una volta dal giornale il 24 febbraio, rinviando a un manuale
di don Luigi Cerutti74. Solo nel 1905 De Cardona, propose
l'organizzazione unitaria di operai e contadini nella Lega del
lavoro e la costituzione di casse rurali come loro unico organismo
creditizio75. E' probabile che a ciò sia stato spinto non
tanto da esigenze di semplificazione, quanto piuttosto dalla
constatazione dell'assenza di una vera classe operaia in Calabria.
La prima cassa rurale della
provincia di Cosenza venne promossa dalla Lega del lavoro sei mesi
dopo la sua fondazione: il 19 gennaio 1902 diciassette coloni, un
fittavolo, un possidente e un'altra persona di cui non è indicata la
qualifica professionale, firmarono l’atto notarile costitutivo della
Cassa rurale di depositi e prestiti cattolica di Cosenza
(società cooperativa in nome collettivo)76. "La Voce
cattolica" non diede alcuna notizia del fatto; tuttavia il 7 luglio
1902, in seconda pagina, pubblicò un invito ai sacerdoti a
interessarsi dei contadini e a costituire delle casse rurali, senza
far riferimento alcuno a quella già costituita:
Aiutare dunque i contadini, è per tutti un dovere di
gratitudine e per i cattolici, per i sacerdoti, anzi, può essere un
dovere di apostolato. [...] Il contadino è laborioso e perciò egli
il sostentamento se lo trae dalla terra col suo lavoro indefesso: il
contadino ha più degli altri vivo nel cuore il senso della giustizia
[...]. Aiutare i contadini vuol dire organizzarli, o almeno lasciare
che si organizzino per mettere in comune, nello spirito fraterno, le
loro buone idee, i loro risparmii, le loro forze, uscendo così da
questo stato di disgregazione e di isolamento, che è da selvaggi,
non da cristiani, da schiavi, non da liberi cittadini di una classe
rispettata. E il primo germe di unione vuol essere la Cassa
rurale, come fu ideata dal tedesco Raiffeinsen [sic] e
largamente attuata dal nostro Cerutti. Poiché la cassa rurale non è
una banca come tutte le altre destinate al semplice guadagno
mediante la circolazione dei capitali monetarii: essa è piuttosto
una prima e più felice funzione sociale e insieme cristiana del
credito, e perciò un elemento prezioso di unione fra i
contadini. Difatti il fulcro della Cassa rurale è quella che suol
dirsi solidarietà illimitata, i cui vantaggi morali saltano
agli occhi di tutti: essa stringe intimamente i socii della cassa,
li affratella e li trasforma in una sola famiglia disposta a
dividersi i favori della buona come i pericoli della avversa fortuna
- una famiglia, una fratellanza dove i deboli mutuamente sono
sostenuti ed aiutati, dove tutto si fa per il bene di ciascun membro
della società, dove si lavora per il Signore!77
Il 25 novembre 1902 "La Voce cattolica" ritornò
nuovamente sul problema delle casse rurali
con un articolo di prima pagina,
presentandone la funzione sociale e i principi informativi:
Una Cassa rurale, col suo minuscolo capitale, è una catapulta
contro l'usura - ed è ancora un'altra cosa molto più importante: è
una prima cellula vivente nella massa amorfa e quasi inerte (almeno
rispetto alla società) dei volghi campagnoli. [...] Un mezzo sempre
più forte e quindi più atto a soddisfare i bisogni non personali
soltanto. I piccoli e felici esperimenti accrescono la fiducia dei
compagni e insieme il sentimento di una forza che non avrebbero se
fossero divisi, che hanno perché uniti e d'accordo: ringagliardita
così la coscienza di classe,
nasce in quei petti, ricchi di intatte e fresche energie, lo slancio
verso più alte e degne mete di progresso civile78.
Tuttavia, nonostante questa lode, la Cassa rurale
di Cosenza continuò a rimanere per altri
due anni l’unica istituzione di
questo tipo in provincia.
1 Adunanza generale delle
Società Cattoliche, VC, 1898,
n. 30, 12.12, p.4.
2 La vostra
ricchezza, VC, 1900, n. 39, 4.11, p. 4.
3 In
pratica, VC, 1901, n. 7, 17.2, p. 4.
4 In mezzo
alla neve, VC, 1901, n. 8, 26.2, p. 4.
5
Organizzarsi, VC, 1901, n. 10, 10.3, p. 4.
6
Cooperativa di credito, VC, 1901, n. 24, 23.6, p. 3.
7 ACT.CS,
fasc. 30. Cfr. anche Cooperativa cattolica di credito, "La
Sinistra", 1901, n. 16, 4.5, p. 2.
8 Cronaca
cittadina, VC, 1901, n. 14, 14.4, p. 2. La composizione del
consiglio di amministrazione venne pubblicata in un numero
successivo (Cronaca cittadina, ibid., n. 16, p. 3).
9ACT.CS,
fasc. 30.
10
La Banca Cattolica, LAV, 1905, n. 6, 18.3, p. 3.
11
Cosenza. Banca Cattolica, LAV, 1907, n. 13, 30.3, pp.
2-3.
12
Cosenza. Banca Cattolica, LAV, 1908, n. 12, 21.3, pp.
1-2.
13
Cronaca, VC, 1905, n. 32, 2.12, pp. 1-2.
14
FAL.CS, 1916-17, p. 334.
15
ACT.CS, fasc. 30.
18 Il
Piccolo credito operaio venne costituito in Cosenza il 21
gennaio 1909 da 18 soci come società cooperativa alla quale poteva
aderire chi era <<artigiano, di buona condotta morale, civile e
religiosa>> e sottoscriveva un'azione di L. 25. Fra i soci erano il
tipografo Rosalbino Serpa e l'impiegato Domenico Eugenio Ciaccio
(FAL.CS, 1908-1909, pp.
985-986; ACT.CS, fasc. n. 113).
I depositi salirono negli anni '30 fino a 300.000 lire e venne
colpito dalla crisi nel 1936 con 89 mila lire di
<<sofferenze>>. Il 14 agosto 1937 il Direttore della Banca d'Italia,
filiale di Cosenza, espresse il parere che avrebbe dovuto essere
assorbito alla pari dalla Banca nazionale del lavoro (BIT.CS,
Copialettere n. 20, f.
215); ma questa rifiutò di
intervenire (Ibid., ff. 363-365). Con sentenza del 12.9.1938
il tribunale di Cosenza ne dichiarò lo stato di cessazione
dei pagamenti a decorrere dal 12 settembre 1936 (FAL.CS, 1938-39, p.
223). Con decreto del Duce 19.9.1938 le venne revocata
l'autorizzazione all'esercizio del credito e venne messa in
liquidazione (GU, 1938, n.
222). Il bilancio finale al 15.4.1952 venne chiuso in pareggio
(ACT.CS, n. 113).
19
Cronaca cittadina, VC, 1899, n. 23, 4.6, p. 3. Nel
1900 <<una lunga schiera di lavoratori appartenenti alla Società
operaia cattolica>> sfilò nella processione cittadina del Corpus
Domini (Cronaca cittadina, VC, 1900, n. 20, 18.6, p. 3)
20
Cronaca cittadina, VC, 1899, n. 20, 17.5, p. 3;
Cronaca cittadina, VC, 1900, n. 17, 27.5, p. 2. Nel 1902 la
Società
operaia (presidente Michele Buoncristiano e assistente don
Alessandro Buccieri) inaugurò la sua sede rinnovata in Via Piazzetta
9 (Cronaca cittadina, VC, 1902, n. 38, 17.11, p. 3).
21
La Lega di
miglioramento delle donne confluì successivamente nella Lega del
lavoro di cui divenne una sezione. Nel 1906 (Per le donne
operaie, LAV, 1906, n. 6, 17.6, p. 1) i fini della sezione
femminile vennero così indicati: a) mutuo
soccorso per i casi d'infermità, di parto, d'infortunio, di morte;
b) piena e intera responsabilità alle donne nella direzione
del loro movimento. Sul piano politico la Lega chiese il voto alle
donne, e nelle loro lotte sindacali esse vennero aiutate
anche con sottoscrizioni (v. INTRIERI, Politica e società,
cit., pp. 241-244).
22
I DEMOCRATICI CRISTIANI DI COSENZA, La Lega del lavoro,
VC, 1901, n. 20, 25.5, p. 1.
23
Per la Lega del lavoro, VC, 1901, n. 23, 16.6, p. 2.
24
De Cardona riteneva essenziale l’educazione degli operai, per
aiutarli a superare l’abitudine a <<farsi i fatti>> loro e a
formarsi alla solidarietà sociale nello spirito di Gesù Cristo (Cose
pratiche, VC, 1900, n. 40, 11.11, p. 4). Per la loro ignoranza
gli operai non guardavano oltre la loro casa e venivano sfruttati,
perciò <<bisogna prima di tutto educare i
figli del popolo in modo che
abbiano intera e viva la coscienza della loro dignità e quindi del
dovere che incombe a ogni uomo di considerarsi membro della
famiglia e insieme della classe, della nazione, dello Stato, della
intera società>> (Oltre la casa, VC, 1901, n. 6, 10.2, p. 4).
25 GLI
OPERAI DEL FASCIO DEMOCRATICO CRISTIANO DI COSENZA, La Lega del
lavoro. Manifesto agli operai della provincia di Cosenza, VC,
1901, n. 24, 23.6, p. 1.
26
Giustizia e prudenza, VC, 1901, n. 27, 14.7, p. 2. Non
sono riuscito a rinvenire l'articolo a cui replica De Cardona, per
cui il nome dell'articolista resta ignoto.
27
La lega del lavoro in Cosenza, "Cronaca di Calabria",
1901, n. 30, 25.7, p. 2.
28
Clericali e liberali, "La Lotta", 1901, n. 23, 27.8,
p. 1.
29Clericali
e liberali, "Cronaca di Calabria", 1901, n. 35, 29.8, p. 1.
30
G. LEPORACE, Il pericolo nero, "Il Domani", 1901, n.
31, 27.8., p. 1.
31
Ampi servizi e commenti
sulla manifestazione vennero pubblicati da tutti i giornali
cosentini del tempo: "Il Domani","La Lotta", "Cronaca di
Calabria" ecc. L’eco del periodo è conservato in una lapide ancora
oggi esistente, collocata a lato del teatro comunale “Rendano”,
sulla quale è scritto: <<XX settembre MDCCCLXX. Questa data politica
dice finita la teocrazia negli ordinamenti civili, il dì che la dirà
finita moralmente sarà la data umana>>. La frase è di Giovanni Bovio
(Il XX settembre a Cosenza, “Il Domani”, 1901, n. 35, 24.9,
pp. 1-2).
32
NEREO, I miseri fraticelli??!!, "Cronaca di Calabria",
1902, n. 43, 1.6, pp. 1-2.
33 G.
PROCACCI, La Lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX,
Roma 1970, pp. 144-145, citato da G. MASI, Socialismo e
socialisti, cit., pp. 58-59.
34
Masi definisce <<esasperato dottrinarismo>> la posizione dei
socialisti cosentini del tempo (MASI, Socialismo e socialisti,
cit., p. 117).
35
P. ROSSI, La chiesa e la quistione sociale, "La
Lotta", 1895, n. 37, 24.8, p. 2.
36
P. ROSSI, La parola alla democrazia, "Rassegna
socialista", 1893, n. 6, p. 65, citato da C. CARRARA, La stampa
periodica cosentina dal Risorgimento alla 1a guerra mondiale, Il
Campo, Trieste s.d., p. 191.
37
Dopo il venti settembre, VC, 1901, n. 36, 23.9, p. 2.
38
Dott. P. Rossi, Il nostro dovere!, “Il Domani”, 1901,
n. 36, 1.10, p. 1.
39
Si avverta bene, VC, 1901, n. 38, 8.10, p. 1.
40
Il programma socialistico, VC, 1901, n. 41, 30.10, p.
2. Cfr. Dott. Pasquale Rossi, All’opra!, “Il Domani”, 1901,
n.
39, 22.10, p. 1.
41
Cronaca cittadina, VC, 1901, n. 47, 8.12, pp. 2-3.
42
I giovani preti, VC, 1902, n. 22, 23.6, p. 2.
43
La realtà, VC, 1902, n. 27, 4.8, p. 1. Su "Fede e
civiltà" cfr. A. DENISI, Un periodico regionale delle diocesi di
Calabria: "Fede e civiltà" , cit., pp. 57-100.
44
Il bene delle cooperative, VC, 1902, n. 39, 25.11, p.
1.
45
Per il riposo festivo, VC, 1902, n. 20, 9.6, p. 2;
Echi di un comizio, VC, 1902, n. 21, 16.6, p. 3.
46
Capitale e lavoro, VC, 1902, n. 21, 16.6, pp. 1-2.
47
Vexata quaestio, VC, 1902, n. 44, 18.11, p. 1.
48
Azione cattolica diocesana, VC, 1903, n. 2, 31.1, p.
3.
49
Azione cattolica diocesana, VC, 1903, n. 5, 23.2, p.
3.
50
Convegno democratico cristiano, VC, 1903, n. 12, 21.4,
p. 3.
51
Corrispondenze, VC, 1903, n. 21, 7.7, p. 3.
52
Su Antonio Cundari (1876-1965, Cosenza), avvocato, docente di
lingua francese, primo sindaco cattolico di Cosenza,
a lungo presidente della Giunta diocesana di Azione cattolica, cfr.
L. INTRIERI, Cundari Antonio, in Dizionario storico
del movimento cattolico, cit., vol. III-1, pp.
272-273; ID., Cundari Antonio, in SINODO DIOCESANO 1994,
Nella vigna del Signore, Progetto 2000, Cosenza 1994, pp. 28-29.
53
Lega del Lavoro, VC, 1905, n. 4, 4.2, p. 3.
54
Vedete le opere, VC, 1902, n. 38, 17.11, pp. 1-2.
55
Vipere!, VC, 1902, n. 23, 29.6, p. 3.
56
Quel che fanno e ... quel che faranno, VC, 1902, n.
28, 11.8, pp. 2-3.
57
Il socialismo italiano, VC, 1902, n. 32, 21.9; p. 1.
58
Un comizio elettorale, VC, 1903, n. 9, 29.3, p. 1.
59
C. DE CARDONA, Fatto personale, VC, 1903, n. 9, 29.3,
p. 1.
60
La percentuale d'interesse richiesta dagli usurai era molto
varia e veniva riscossa in vario modo. Ad esempio, si prestavano 20
lire per 15 giorni e si chiedevano 15 centesimi al giorno di
interesse (1800% annuo); per due tomoli di grano prestati al momento
della semina se ne chiedevano tre al momento della raccolta (50%)
oppure si chiedevano
delle prestazioni gratuite di mano d'opera (L'usura, LAV,
1907, n. 34, 14.9, p. 2). Le casse rurali, invece, chiedevano il 5%
annuo e altrettanto era chiesto dalla Cassa di risparmio di Calabria
e dalla Banca popolare cosentina (I nemici delle casse rurali,
LAV, 1906, n. 22, 9.6, p. 1; Cassa di risparmio di Calabria
citeriore, VC, 1901, n. 34, 12.9, p. 3; Banca
popolare cosentina, VC, 1902, n. 8, 24.2, p. 3).
61
G. TAMAGNINI, Le Casse rurali, Edizioni de "La rivista
della Cooperazione", Roma 1952, pp. 28-31. La prima banca popolare
italiana venne costituita a Lodi il 23 marzo 1864 da Luigi Luzzatti
(ibid., pp. 89-90).
62
Per lo sviluppo della cooperazione in Calabria cfr. L.
INTRIERI (a cura), La cooperazione in Calabria dal 1883 al 1950
(Atti del convegno di studio organizzato dalla Fondazione
Guarasci, Cosenza 7.5.1988), Pellegrini, Cosenza 1990.
63
Friedrich Wilhelm
Raiffeisen (1818-1888), borgomastro di Weyerbuch, dopo la grave
crisi agraria del 1846-47 aveva promosso il cooperativismo
agricolo in Germania non solo come strumento economico, ma anche
come mezzo di elevazione morale.
64
TAMAGNINI, Le Casse rurali, cit., pp. 31-34.
65
TAMAGNINI, Le Casse rurali, cit., p. 89.
66 F. DI
DOMENICANTONIO, Casse rurali e sviluppo agricolo nel Lazio dalla
crisi agraria alla seconda guerra mondiale, "Bollettino
dell'Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in
Italia", 1985, n. 1, gennaio-aprile, p.9,
nota 22. Il giornale diocesano di Cosenza "La Voce cattolica" (Per
l'azione cattolica, 1900, n. 4, 5.2, p. 3) riportò una
circolare del Paganuzzi, presidente dell'Opera dei Congressi, nella
quale si affermava: <<per l'intento comune di dar gloria a Gesù
Cristo e alla Santa Sede [...] raccomandiamo specialmente le
seguenti: 1. Società operaie con o senza mutuo soccorso. 2. Casse
rurali di depositi e prestiti. 3. Casse parrocchiali ancora in via
di esperimento. 4. Banche di credito agricolo commerciale. 5. Unioni
agricole per acquisti collettivi. 6. Unioni rurali. 7. Società di
assicurazioni. 8. Segretariato del popolo. 9. Cooperative di
consumo, specialmente per gli operai delle industrie. 10. Unioni,
sindacati,
corporazioni professionali. 11. Conferenze sociali popolari. 12.
Intervento per comporre dissidi fra padroni e operai.>>
67
TAMAGNINI, Le casse rurali, cit., p. 111.
68
G. DE ROSA, Storia del
movimento cattolico in Italia. Dalla Restaurazione all’età
giolittiana, Laterza, Bari 1966, p.189.
69
Già nel 1897 esistevano in Italia 904 casse rurali, di cui
125 ispirate dal Wollemborg e 779 ispirate da don Cerutti
(TAMAGNINI, Le casse rurali, cit., pp. 100-101)
70
DE ROSA, Storia del
movimento, cit., p. 188.
71Atti
del I. congresso cattolico,
cit., pp. 97-114.
72
R. LIBERTI, Il cooperativismo nella Piana di Gioia Tauro
dal 1883 al 1950, in L. INTRIERI (a cura), La cooperazione in
Calabria dal 1883 al 1950 (Atti del convegno di studio
organizzato dalla Fondazione Guarasci,
Cosenza 7.5.1988), Pellegrini,
Cosenza 1990, pp. 125-184; F. MAGGIONI SESTI, La cooperazione a
Reggio Calabria dal 1880 al 1950, ibid., pp.
185-246.
73
(srt), La pratica della D.C., VC, 1902, n. 6, 9.2, p.
2.
74
(srt), La pratica della D.C., VC, 1902, n. 8, 24.2, p.
2.
75
Lo statuto tipo delle
associazioni locali aderenti alla Lega del lavoro, nella edizione
del 1905, fornisce un'idea precisadei fini e delle attività
della Lega stessa. Lo pubblichiamo integralmente:<<Art. 1. Si è
costituita in
.......................
un'associazione di
artigiani e agricoltori, che ha lo scopo: 1° l'educazionecristiana e
civile del popolo; 2° l'aiuto scambievole e il miglioramento
economico dei soci; 3° la rappresentanzaorganica del lavoro e la
difesa dei suoi dritti.Art. 2. I principali mezzi con cui
l'associazione si sforzerà di raggiungere il suo scopo, sono: 1° la
diffusione della coltura; 2° l'impianto e il retto
funzionamento delle varie forme di cooperative con carattere
di classe e con finalità economica; 3° l'organizzazione interna di
gruppi professionali per le diverse arti e mestieri.Art.
3. Possono essere ammessi a far parte dell'associazione i soli
lavoratori di buona condotta, che abbiano raggiunto il18°
anno di età, e accettino di osservare integralmente le norme del
presente statuto.Art. 4. I socii sono obbligati a versare una quota
mensile di centesimi trenta, con cui sarà costituito un fondo di
cassa,che servirà: 1° come fondo generale di previdenza per i casi
d'invalidità al lavoro; 2° per le spese che l'associazione dovrà
sostenere nello sviluppo della sua vitalità.Art. 5. Ogni socio, dopo
un anno dalla regolare iscrizione alla società, acquista il diritto
di chiedere ed ottenere, in caso di invalidità al lavoro, un
sussidio giornaliero di centesimi cinquanta per il tempo della sua
invalidità. Tale sussidio non può durare più di un mese - oltre il
quale si può ottenere un sussidio straordinario ad equo giudizio del
Consiglio. Art. 6. Non ha dritto al sussidio di cui all'art. 5 il
socio che non ha ancora versato la quota del mese che precede
immediatamente quello della sua invalidità. E non si riconosce
l'infermità che il socio aveva prima di entrare nel sodalizio, o che
è stata causata da stravizii, o che non si è potuto provare con
regolare certificato medico. Art. 7. Un socio che vien meno ai suoi
doveri può essere espulso dalla società e non ha dritto a rimborsi.
Art. 8. L'Associazione è governata da un Consiglio composto: da
cinque a dieci delegati eletti dall'assemblea generale, dai delegati
e rappresentanti delle sezioni o gruppi che si costituissero
nell'associazione medesima. Il Consiglio nomina
nel suo seno un presidente - che è il presidente dell'associazione
-, un segretario e un cassiere. Si rinnova per intero ogni
anno.
Art. 9. Appartiene al Consiglio: 1° Amministrare il fondo di cassa
(art. 4); 2° distribuire i sussidii (articoli 5 e 6); 3°ammettere o
espellere i socii; 4° promuovere e sostenere l'attuazione degli
istituti e delle opere che dian luogo allo sviluppo
dell'associazione. Art. 10.
L'associazione aderisce alla Lega del lavoro della Provincia di
Cosenza: ne accetta lo Statuto fondamentale, e si dichiara
solidale con la Lega medesima nel programma di organizzazione e di
elevazione morale, civile, economica delle classi lavoratrici.
Perciò essa prende il nome di Lega del lavoro - Sezione di
Art. 11. La Sezione nominerà ogni anno un suo Rappresentante al
Consiglio Centrale della Lega residente a Cosenza; e col mezzo del
Rappresentante comunicherà col Consiglio Centrale medesimo, per
tutte le quistioni che sorgessero in mezzo alla Sezione, per tutte
le iniziative che fossero proposte. Le decisioni del Consiglio
Centrale saranno fedelmente
eseguite.
Art. 12. E' in facoltà dell'Assistente Ecclesiastico della
Lega nominare un sacerdote che assista in sua vece la Sezione, ne
promuova il bene, ne impedisca il male con la sua autorità e coi
suoi suggerimenti.>> (Lega del lavoro, Libretto di
riconoscimento, Tipografia della Lotta, Cosenza 1905, pp. 3-5).
76
Archivio notarile distrettuale di Cosenza, Notaio Francelli,
atto n. 873 del 19.1.1902. Dopo l'omologazione, la cassa rurale
venne iscritta nel registro delle società del Tribunale di Cosenza
al n. 33.
77
Per la propaganda. Aiutiamo i contadini, VC, 1902, n. 24, 7.7,
pp. 1-2.
78
Il bene delle cooperative, VC, 1902, n. 39, 25.11, p.
1.