E’ il titolo di un libro sulla ndrangheta di Marisa Manzini, a
delineare i profili della donna dell’ambiente mafioso, a volte
del loro potere all’interno della organizzazione, a volte del
dramma di persone “costrette” e vittime della violenza
maschilista e di sistema.
L’esposizione ha la immediatezza e la sofferenza del “non
racconto”, prevalendo gli elementi di realtà, in luogo di
sociologie di maniera, quando quasi sempre astruse.
La presentazione è stata interessante, con l’intervento di don
Francesco Savino** che ha accennato alla figurazione della mafia
quale elemento di un triangolo che prevede un secondo lato,
quello delle massonerie, nominate o meno, e la base
rappresentata dalla società calabrese priva di capacità di
movimento, chiusa per risalente storia e consuetudini, nei
confini della emarginazione geografica e sociopolitica, come
espone nel testo la stessa Manzini.
Ma quale è il residuo della azione di ripulsa della mafia di una
società immobile?
C’è da tempo un processo di delegittimazione: della Magistratura
nella lotta alla mafia, come denunciato da Giovanni Falcone; ma
non è detto che non si debba essere più attenti ad insistere nel
promuovere “antipolitica”, delegittimando ulteriormente. Dovere
civico la non delegittimazione della Magistratura. Così come è
evidente il danno della delegittimazione della classe dirigente
politico-istituzionale per deficienza di senso critico.
Naturalmente è l’intero sistema istituzionale del Paese che va
rivisto. In Calabria tuttavia il fenomeno assume il significato
del “non credere” e quindi del favorire il costume mafioso e la
forza di persuasione delle massonerie.
La coralità degli atteggiamenti farà vincere la sfida, non la
unicità o la solitudine!
Franco Petramala
***Libro di Marisa Manzini, Magistrato – Edizioni Rubbettino
** Don Francesco Savino vescovo di Cassano all’Ionio