Paul Ginsborg.La democrazia che
non c'è di Alessandro
Urso
Giuseppe Capograssi sosteneva che “crisi è
un concetto che ha più un valore emozionale che logico. In generale
diciamo che c’è crisi quando ci troviamo di fronte a una situazione
che non vorremmo. Una situazione è in crisi quando abbiamo in mente
un’altra situazione o passata o pensata, che crediamo migliore, vale
a dire che preferiremmo.
Inoltre quando si dice crisi s’intende accennare ad un pericolo
pesante, ma che passerà; c’è nel concetto di crisi oltre un elemento
di disapprovazione anche un elemento di speranza”. Mi domando se,
applicata alla attuale crisi della democrazia rappresentativa o
liberale, anche questa volta possa valere la riflessione del
filosofo, dalle cui letture deriva sempre la essenzialità di un
pensiero che fa riflettere.Probabilmente no, per il motivo che ciò
che oggi allarma non è un intoppo sul cammino della democrazia, una
immagine lineare che riprende il cammino appena superato un
ostacolo.
La democrazia moderna ha un suo lungo
travagliato e significativo evolversi nel suo sviluppo, legato
guarda caso ad uno schema storicistico ben evidente che attualizza
il possibile e non tralascia l’osservazione delle contraddizioni.
Si da il caso che pero oggi la crisi della democrazia ovvero le sue
forme nascono e si rivelano in contemporanea ad un diverso peso
delle componenti socio economiche che la avevano comunque
accompagnate.
Lo schema Stato e Società sembra non più fondamentale a fronte di
una manomissione della dualità per intervento di soggetti terzi che
si frappongono, che limitano lo Stato e tendono a non tenere in gran
conto la società.
L’attuale crisi presenta in qualche modo questa crisi.
Vero è che la storia della democrazia è la storia delle sue crisi ma
oggi serve maggiormente una indagine profonda ed una presa di
coscienza intellettuale e morale che ripercorra il senso proprio del
vivere civile.
Franco Petramala
Paul Ginsborg. La
democrazia che non c'è «Nel 1989 la democrazia liberale trionfò senza riserve sul
suo, ormai impresentabile, avversario. Ma, nel momento della
vittoria globale, molte delle prassi fondamentali della democrazia
liberale si sono rivelate carenti e molti dei suoi più orgogliosi
vanti infondati». Così lo storico Ginsborg conclude il prologo al
suo saggio “La democrazia che non c'è”, (edito da Einaudi, Torino
2006), titolo sufficiente ad evocare i limiti e la vulnerabilità
della democrazia rappresentativa giunta al culmine di una parabola
ascendente che dalla seconda metà del xx secolo ha visto il declino
delle teorie marxiste a fronte di un' affermazione quasi totale del
liberalismo.
Il confronto tra Marxismo e Liberalismo è abilmente messo in scena
dall'autore in un immaginario incontro avvenuto a Londra nella
primavera del 1873 tra Mill, fervente sostenitore della democrazia
partecipativa e autore di un importante saggio sull'argomento dal
titolo “Considerazioni sul governo rappresentativo” e Marxche ne “La questione ebraica” la giudicava un imbroglio.
Ginsborg s'interroga sul carattere qualitativo della crisi che
immediatamente dopo il crollo del muro di Berlino investì la forma
di democrazia vincente. Fino al 2000, infatti, ci fu una crescita
esponenziale della democrazia rappresentativa fino ad acquisire uno
status di maggioranza su scala mondiale. Tuttavia ciò che preme
sottolineare all'autore, è che a fronte di una indiscutibile
crescita su un piano formale, capace di coinvolgere con grande
rapidità tutto il mondo «nei paesi tradizionali, roccaforti della
democrazia liberale, cresceva la disaffezione». Perdita di fiducia
nelle istituzioni democratiche, nella classe politica senza
distinzioni di partito, forte astensionismo elettorale, sono solo
alcuni sintomi che minano profondamente le radici e l'integrità di
una democrazia in crisi, dunque, nel suo carattere qualitativo più
che quantitativo.
È indispensabile per l'autore soffermarsi su alcune cause di fondo:
la delega dell'esercizio della politica ad una èlite di partito,
diventata quasi una oligarchia abitata da veri e propri
professionisti della politica (in Italia ha preso piede il termine
“casta”), protetti da un linguaggio sempre più tecnico ed
impermeabile ad un popolo che fa fatica inevitabilmente ad
esercitare il suo potere di controllo ultimo secondo le celebri
considerazioni di Mill. La subordinazione della politica democratica
ai grossi capitali privati, poi, è alla base di un sistema
clientelare «meccanismo nascosto di numerosi stati democratici
contemporanei» che ne influenza la sua stessa credibilità.
C'è poi un'ulteriore causa, indicata da Ginsborg, che appare di
fondamentale importanza ai fini di una comprensione profonda del
fenomeno in questione. L'orizzonte onnicomprensivo del capitalismo
consumistico ha ridotto gli spazi di tempo da destinare
all'interesse politico. La vita quotidiana, profondamente
influenzata dai media, in primis la televisione soprattutto quella
commerciale nell'analisi di Ginsborg, sembrerebbe ridursi sempre di
più ad una coazione ripetitiva sintetizzata nella formula “lavora e
spendi”, dove la tradizionale figura del cittadino, partecipe e
attivo, viene superata dall'individuo, funzionario del mercato nel
suo ruolo di mero consumatore tutto dedito ad una accrescimento
autoreferenziale d'interessi privati e materiali.
Che fare allora? La domanda apre la seconda parte del saggio. La
democrazia è giunta ad un bivio: proseguire nel suo invalidante
declino, oppure ridestarsi dal sonno. L'analisi punta sulla
necessità, ancora sulla scia delle considerazioni di Mill, di
“coltivare” la figura del cittadino attivo, critico, partecipe alla
cosa pubblica, consapevole e capace di dissentire. «Per Mill nessuno
doveva adeguarsi per pigrizia e abitudine ai costumi sociali
vigenti. Preferiva gli eccentrici ai conformisti, voleva che le
decisioni di ciascuno si fondassero sull'informazione e la
riflessione». Questo processo trova nella famiglia il punto di
partenza di un sistema di connessioni con la società civile e lo
stato democratico dove fondamentale sarà il ruolo di associazioni
autonome, composte da individui attivi, critici, capaci di scuotere
le famiglie stesse dalla passività, far crescere la società civile
in un'ottica di maggiore partecipazione, pluralismo e autonomia.
L'obiettivo è una democrazia di tipo deliberativo, le cui
prerogative essenziali, racchiuse nel doppio significato di
discutere e decidere dell'aggettivo inglese deliberative,
dischiudono gli scenari di quello che appare oggi, alla luce
dell'attuale crisi del sistema politico rappresentativo, un cambio
rivoluzionario troppo ottimistico, forse, circa la possibilità per
l'uomo di sottrarre spazio a modelli di vita mediatizzati, che,
soprattutto nei paesi occidentali, condizionano fortemente la
capacità di dissenso.
L'esperienza del “bilancio partecipativo” di Porto Alegre sostenuta
dal partito dei lavoratori brasiliano (Partido dos Trabalhadores),
rappresenta per Ginsborg la testimonianza contemporanea più riuscita
di connessione tra partecipazione e rappresentazione, in cui,
proprio il ruolo del cittadino, non limitato solo all'esercizio
elettorale, si alimenta di un prolifico e continuativo dibattito con
i politici fino ad assumere, egli stesso, un ruolo legittimo e
operativo nel processo decisionale della politica locale.
La prassi deliberativa, la sua sintesi di partecipazione, attivismo
critico, dialogo costante con le cariche politiche, stimolano,
inoltre, il dibattito critico oggi in voga sulla valenza degli
attuali sistemi d'informazione, la rete principalmente, la rapidità
di comunicazione, la possibilità di intervenire nel processo
decisionale attraverso il voto via computer.
Il saggio offre spunti di analisi preziose al fine d'individuare
possibili vie d'uscita al vertiginoso declino che la democrazia vive
oggi, sul ruolo dell'Europa, in conclusione, definita “un gigante
addormentato”, «melanconico e incapace di scuotersi dal suo
torpore», oggetto di progressiva disaffezione popolare e opportunità
mancata di vitalità democratica.