Grazie, Maria
Fidaper averci
fatto visita: la Sua presenza non è solamente evocativa di un
Uomo a noi caro ma è evocativa anche di un rammarico chenon smette.
Ancora oggi
abitano la nostra e la mia memoria le trepidazioni di quei
momenti per quell’uomo la cui dignità ci orientava prima ancora
della sua straordinaria e preveggente sintesi politica: una
sensazione che tuttavia si faceva razionalità.
Non era “un aver
capito” che dava e da emozione. Era invece una emozione che ci
invogliava a capire….e poi ancora a capire di più.
Ohh se c’è
ancora tanto da capire !!
Non ho avuto la
fortuna di ascoltare le sue lezioni perché mi iscrissi, studente
lavoratore, all’Università di Bari l’anno del suo trasferimento
a Roma; fu dal primo momento che decisi: alla fine del corso di
laurea avrei chiesto la tesi in Filosofia del Diritto e così fu,
avendo come tutor Padre Rodolfo Bozzi.
Al tempo del
disastro e dell’ingratitudine idiota dell’inciucio fra i
maggiori partiti e i loro maggiorenti, passato come strategica
misura ma in effetti decisione inadeguata di inadeguati
protagonisti, ero Segretario Regionale della Democrazia
Cristiana calabrese.
Grandi simpatie
per Lui non vi erano nel Paese, ma rispetto per il suo pensiero
si! e molto, ancorchè ad alcuni non rimanesse chiaro o
condivisibile per principio. C’era la sensazione che il
ragionamento avesse però tanta forza da coinvolgere e tanto
bastava !
L’entusiasmo per
la sua proposta era notevole dalla nostra parte ma poco gradita,
diciamo così, dalla parte di chi avrebbe dovuto ritenerla giusta
e parlo del PCI specialmente in periferia; le vicende successive
ne diedero contezza.
Ci rendevamo
conto che avremmo dovuto proseguire nello strappo senza contare
poi molto sugli altri. E Moro di questo, credo fosse
consapevole.….
Vi era
l’opposizione preconcetta dei socialisti, questo si, ma nella
sua abilità Craxi immaginava la sostituzione nel tempo del PCI
con il PSI o altra formazione inedita.
Si avvertiva
all’epoca, nel Partito, una sorta di impotenza che veniva
esorcizzata con un atteggiamento equivoco, come quello ispirato
addirittura dalla affermazione di Nietcheze: “Sentirsi colpevoliè rifiutare la vita perché nella colpa ci sarebbe una
sorta di debolezza, una resa dinanzi alla vita”. Simulavano una
tale professione, coloro che sostenevano la linea della così
detta fermezza….nella convinzione elementare ma sbagliata che
“Una colpa collettiva diluisce la responsabilità individuale”.
Se ne accorse
bene l’Uomo che, da lontano nella sua solitudine, avvertiva chi
si stava assumendo la responsabilità di quel che sarebbe
successo di poi, abbandonandolo.
Speravamo
piuttosto nel senso di colpa che tingeva come fuliggine i muri
delle stanze del potere, ma anche proprio il suo eccesso
conduceva all’inerzia. Quello che non capivo era l’atteggiamento
del tralasciare l’altraverità eterna e cristiana per cui nulla è paragonabile
alla spontaneità ed alla forza della vita.
Per questo
insieme ad altri segretari facemmo presente che tutto avrebbe
dovuto favorire la trattativa non essendoci nulla che lo
impedisse, nel Paese delle Meraviglie dove dappertutto lo
stupore domina ma consente.
Troppo spesso ci
veniva rimproverato di insistere, malgrado le minacce giunte e
reiterate anche a noida parte dei cosiddetti …..resistenti, i resistenti del
nulla, quelli del complotto o della vanità e della supponenza,
della arroganza fino alla sfacciataggine.
E mi veniva alla
mente un versetto di Giovanni” Al soldato che lo schiaffeggiava
Gesu rispondeva con una domanda: se ho parlato male dimostratemi
dov’è il male. Ma se ho parlato bene perché mi percuoti? ( Gv
8,23).
Non ci fu
risposta e tuttora una risposta sarebbe bene averla magari per
avere consapevolezza che misteriosi segreti non c’erano se non
il vuoto di menti politiche veramente poco raffinate, da
qualunque parte.
E’ questo
probabilmente che impedisce tuttora la rilevanza dei cattolici
democratici nella vita politica italiana centrale e periferica.
Non è il tema di
stasera. Comunque
non possiamo raccontare la storia in assenza di Lui.
Tuttavia ilmiglior modo di insegnare è quello di insegnare ad
apprendere; e l’Uomo invitava ed invita a costruire la nostra
propria storia,
avvertendo che la parola non è l’eco automatico di un discorso
ascoltato. E’ la premessa della azione.
Certo i
cattolici democratici hanno atteso molto, balbettando i si e i
no, i ma e i forse in tutti questi anni come in attesa di un
altro avvento. Che non c’è stato e non ci sarà.
Meschini e con
la testa bassa siamo andati raccattando volontà prive di
costrutto e pensieri senza futuro, anzi non pensieri, imboccando
le scorciatoie della delega ad altri.
Invece di
Incalzare gli avvenimenti e la Storia come Moro intendeva,
prevedendo e interpretando; credendo nel suo paese pur fra mille
manchevolezze e ripetendo sempre “questa terra è la mia terra”
rivendicando quella identità che nutriva il suo pensiero colto.
Facendoci invece
trascinare dalla corrente dei plebisciti, rifugio della
ignoranza e della mala fede dei furbi e degli imbonitori; inermi
popolari senza essere soggetto politico, accartocciati in
perenne attesa della sopravvivenza in una società in decadenza
che rinunciando ad avvalersi dei corpi intermedi di
rappresentanza sociale, spera nel miracolo.
Che non ci sarà
a meno che non rinasca una nostra presa di coscienza collettiva
della gravità della situazione. La politica non ci consente di
prolungare l’azione di lui ma solamente di riprendere il suo
modo di interpretare la politica e di viverla in maniera
integrale e fino in fondo.
Il dono è
inestimabile e pur attraverso difficoltà di ogni genere la nuova
religiosità di Papa Francesco ci può aiutare. Religiosità
popolare le cui azioni vanno realizzate come la sintesi politica
di Moro ci aveva suggerito, fra l’altro per uscire dal clima di
Babele come suggerisce Franco Pichierri nel suo libro.
Come per
l’individuo anche per la società vale quel che era nel costume
di Moro, attento, occhieggiando al volo per cogliere gli stati
d’animo delle persone e più ancora ascoltando pulsioni e fremiti
della società che va sollecitata di nuovo a suggerire, appunto,
una meta e un costume.
Una società vive
se non attende da chissà chi, rintracciando in sé stessa le
ragioni dei propri valori democratici, di probità e di
intelligenza della storia di cui ha ancora traccia, dopo anni di
semina.
Ricordo di
averlo conosciuto all’Università di Romaricevuto in una biblioteca accompagnato da Pasqualino
Biafora e Franco Tritto che poi divenne mio amico. Ricordo la
sua stretta di mano accompagnata da un semplice ma inequivoco
“Buongiorno buongiorno”; per un attimotrattenne la mia mano come se mi comunicasse qualcosa
mentre io ero affascinato dal suo sguardo calmo e profondo dei
suoi occhi scuri mediterranei che mi trasmetteva quel che
volessi o potessi ricevere.
Filippo
Ceccarelli riferisce una cosa spiritosa di Lui: un sera alla
fine della recita andò nel camerino di Edoardo De Filippo a
salutarlo. Questi gli regalò una sua foto con dedica. C’era
scritto: “al mio caro amico Emilio Colombo”Quell’ incidente lo divertì molto….La sua ironia di
straordinaria eleganza, racchiusa nello scrigno della sua
intelligenza di Meridionale che “sa la gente o munno e
l’infamità” ma passa e va!!
Un compito ce lo
ha lasciato, in questa epoca che minaccia il ritorno allo stato
di semibarbarie della emarginazione del Sud, in assenza della
intelligenza emotiva di Politici come Aldo Moro. Dovremo riavere
il coraggio della denuncia forte ….Gli onesti ed i seri che ci
sono non servono a molto, diceva,… finchè ci siete voi….
E rimarrà contro
di loro, dovunque siano, la nostra battaglia politica civile
senza compatirci !!! con il coraggio civile ed oltre, che il suo
esempio ha tramandato al suo Paese.
Può essere
questo il senso del motto del “Liberi e forti”,caro Franco !