La Nota di Franco Petramala

Incontro con Maria Fida Moro di Franco Petramala

Incontro con Maria Fida Moro

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Grazie, Maria Fida  per averci fatto visita: la Sua presenza non è solamente evocativa di un Uomo a noi caro ma è evocativa anche di un rammarico che  non smette.

Ancora oggi abitano la nostra e la mia memoria le trepidazioni di quei momenti per quell’uomo la cui dignità ci orientava prima ancora della sua straordinaria e preveggente sintesi politica: una sensazione che tuttavia si faceva razionalità.

Non era “un aver capito” che dava e da emozione. Era invece una emozione che ci invogliava a capire….e poi ancora a capire di più.

Ohh se c’è ancora tanto da capire !!

Non ho avuto la fortuna di ascoltare le sue lezioni perché mi iscrissi, studente lavoratore, all’Università di Bari l’anno del suo trasferimento a Roma; fu dal primo momento che decisi: alla fine del corso di laurea avrei chiesto la tesi in Filosofia del Diritto e così fu, avendo come tutor Padre Rodolfo Bozzi.

Al tempo del disastro e dell’ingratitudine idiota dell’inciucio fra i maggiori partiti e i loro maggiorenti, passato come strategica misura ma in effetti decisione inadeguata di inadeguati protagonisti, ero Segretario Regionale della Democrazia Cristiana calabrese.

Grandi simpatie per Lui non vi erano nel Paese, ma rispetto per il suo pensiero si! e molto, ancorchè ad alcuni non rimanesse chiaro o condivisibile per principio. C’era la sensazione che il ragionamento avesse però tanta forza da coinvolgere e tanto bastava !

L’entusiasmo per la sua proposta era notevole dalla nostra parte ma poco gradita, diciamo così, dalla parte di chi avrebbe dovuto ritenerla giusta e parlo del PCI specialmente in periferia; le vicende successive ne diedero contezza.

Ci rendevamo conto che avremmo dovuto proseguire nello strappo senza contare poi molto sugli altri. E Moro di questo, credo fosse consapevole.….

Vi era l’opposizione preconcetta dei socialisti, questo si, ma nella sua abilità Craxi immaginava la sostituzione nel tempo del PCI con il PSI o altra formazione inedita.

Si avvertiva all’epoca, nel Partito, una sorta di impotenza che veniva esorcizzata con un atteggiamento equivoco, come quello ispirato addirittura dalla affermazione di Nietcheze: “Sentirsi colpevoli  è rifiutare la vita perché nella colpa ci sarebbe una sorta di debolezza, una resa dinanzi alla vita”. Simulavano una tale professione, coloro che sostenevano la linea della così detta fermezza….nella convinzione elementare ma sbagliata che “Una colpa collettiva diluisce la responsabilità individuale”.

Se ne accorse bene l’Uomo che, da lontano nella sua solitudine, avvertiva chi si stava assumendo la responsabilità di quel che sarebbe successo di poi,  abbandonandolo.

Speravamo piuttosto nel senso di colpa che tingeva come fuliggine i muri delle stanze del potere, ma anche proprio il suo eccesso conduceva all’inerzia. Quello che non capivo era l’atteggiamento del tralasciare l’altra  verità eterna e cristiana per cui nulla è paragonabile alla spontaneità ed alla forza della vita.

Per questo insieme ad altri segretari facemmo presente che tutto avrebbe dovuto favorire la trattativa non essendoci nulla che lo impedisse, nel Paese delle Meraviglie dove dappertutto lo stupore domina ma consente. 

Troppo spesso ci veniva rimproverato di insistere, malgrado le minacce giunte e reiterate anche a noi  da parte dei cosiddetti …..resistenti, i resistenti del nulla, quelli del complotto o della vanità e della supponenza, della arroganza fino alla sfacciataggine.

E mi veniva alla mente un versetto di Giovanni” Al soldato che lo schiaffeggiava Gesu rispondeva con una domanda: se ho parlato male dimostratemi dov’è il male. Ma se ho parlato bene perché mi percuoti? ( Gv 8,23).

Non ci fu risposta e tuttora una risposta sarebbe bene averla magari per avere consapevolezza che misteriosi segreti non c’erano se non il vuoto di menti politiche veramente poco raffinate, da qualunque parte.

E’ questo probabilmente che impedisce tuttora la rilevanza dei cattolici democratici nella vita politica italiana centrale e periferica.

Non è il tema di stasera. Comunque  non possiamo raccontare la storia in assenza di Lui.

Tuttavia il  miglior modo di insegnare è quello di insegnare ad apprendere; e l’Uomo invitava ed invita a costruire la nostra propria storia,  avvertendo che la parola non è l’eco automatico di un discorso ascoltato. E’ la premessa della azione.

Certo i cattolici democratici hanno atteso molto, balbettando i si e i no, i ma e i forse in tutti questi anni come in attesa di un altro avvento. Che non c’è stato e non ci sarà.

Meschini e con la testa bassa siamo andati raccattando volontà prive di costrutto e pensieri senza futuro, anzi non pensieri, imboccando le scorciatoie della delega ad altri.

Invece di Incalzare gli avvenimenti e la Storia come Moro intendeva, prevedendo e interpretando; credendo nel suo paese pur fra mille manchevolezze e ripetendo sempre “questa terra è la mia terra” rivendicando quella identità che nutriva il suo pensiero colto.

Facendoci invece trascinare dalla corrente dei plebisciti, rifugio della ignoranza e della mala fede dei furbi e degli imbonitori; inermi popolari senza essere soggetto politico, accartocciati in perenne attesa della sopravvivenza in una società in decadenza che rinunciando ad avvalersi dei corpi intermedi di rappresentanza sociale, spera nel miracolo.

Che non ci sarà a meno che non rinasca una nostra presa di coscienza collettiva della gravità della situazione. La politica non ci consente di prolungare l’azione di lui ma solamente di riprendere il suo modo di interpretare la politica e di viverla in maniera integrale e fino in fondo.

Il dono è inestimabile e pur attraverso difficoltà di ogni genere la nuova religiosità di Papa Francesco ci può aiutare. Religiosità popolare le cui azioni vanno realizzate come la sintesi politica di Moro ci aveva suggerito, fra l’altro per uscire dal clima di Babele come suggerisce Franco Pichierri nel suo libro.

Come per l’individuo anche per la società vale quel che era nel costume di Moro, attento, occhieggiando al volo per cogliere gli stati d’animo delle persone e più ancora ascoltando pulsioni e fremiti della società che va sollecitata di nuovo a suggerire, appunto, una meta e un costume.

Una società vive se non attende da chissà chi, rintracciando in sé stessa le ragioni dei propri valori democratici, di probità e di intelligenza della storia di cui ha ancora traccia, dopo anni di semina.

Ricordo di averlo conosciuto all’Università di Roma  ricevuto in una biblioteca accompagnato da Pasqualino Biafora e Franco Tritto che poi divenne mio amico. Ricordo la sua stretta di mano accompagnata da un semplice ma inequivoco “Buongiorno buongiorno”; per un attimo  trattenne la mia mano come se mi comunicasse qualcosa mentre io ero affascinato dal suo sguardo calmo e profondo dei suoi occhi scuri mediterranei che mi trasmetteva quel che volessi o potessi ricevere. 

Filippo Ceccarelli riferisce una cosa spiritosa di Lui: un sera alla fine della recita andò nel camerino di Edoardo De Filippo a salutarlo. Questi gli regalò una sua foto con dedica. C’era scritto: “al mio caro amico Emilio Colombo”  Quell’ incidente lo divertì molto….La sua ironia di straordinaria eleganza, racchiusa nello scrigno della sua intelligenza di Meridionale che “sa la gente o munno e l’infamità” ma passa e va!!

Un compito ce lo ha lasciato, in questa epoca che minaccia il ritorno allo stato di semibarbarie della emarginazione del Sud, in assenza della intelligenza emotiva di Politici come Aldo Moro. Dovremo riavere il coraggio della denuncia forte ….Gli onesti ed i seri che ci sono non servono a molto, diceva,… finchè ci siete voi….

E rimarrà contro di loro, dovunque siano, la nostra battaglia politica civile senza compatirci !!! con il coraggio civile ed oltre, che il suo esempio ha tramandato al suo Paese.

Può essere questo il senso del motto del “Liberi e forti”,  caro Franco !

Grazie ancora Maria Fida

Franco Petramala

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