Possibile lo schema dei Conservatori/Democratici
con i Popolari ancora protagonisti? **
di Mario Sirimarco ***
È bene che ci si avvii verso una democrazia compiuta. Certo, il Pd che
avrebbe dovuto costituire il punto di riferimento per una
alternativa alla Destra, ha sbagliato tutto ciò che c’era da
sbagliare. Occorre, quindi, che questo partito sia ricostruito o
rifondato (eventualmente passando da un suo scioglimento). E si
deve necessariamente affrontare il tema della presenza e del
ruolo di un centro, popolare e cattolico democratico, orgoglioso
della sua ispirazione e dei suoi riferimenti culturali, senza il
quale il Pd rischia di essere altra cosa.
La vittoria della Destra (e direi i primi passi istituzionali della sua
leader riconosciuta) può rappresentare l’ennesima occasione di
far maturare democraticamente il nostro sistema politico grazie
alla creazione di un vero partito conservatore, dopo il
fallimento delle altre esperienze del passato più o meno
recente. La Democrazia cristiana, come è noto, non è mai stata
(e non poteva essere) un partito conservatore sia per il
contesto storico-politico in cui ha operato, sia per la caratura
e la formazione della sua classe dirigente “di pensiero”.
Geneticamente la DC ha mantenuto fede alla visione degasperiana
di un partito di centro che guardava a sinistra neutralizzando,
assorbendo, sterilizzando, marginalizzando le istanze
conservatrici pur presenti, probabilmente anche
maggioritariamente, nel suo ventre. Berlusconi, mettendo insieme
un centro che guardava a destra e che anzi si assumeva l’onere
di sdoganare e legittimare una destra di governo, ha fallito la
sua missione di una rivoluzione liberale perché incapace di
uscire dalla logica del partito-azienda pensato, strutturato e
utilizzato soprattutto come strumento per la tutela di interessi
e privilegi personali.
Il tentativo di Fini di dare vita a una destra moderna ed europea si è
infranto non solo sugli scogli degli scandali familiari, ma
anche di fronte alla constatazione della presenza ancora troppo
forte di Berlusconi, da una parte, e di una destra razzista
populista e antieuropea, dall’altra. La Meloni può riuscire
laddove i suoi illustri predecessori hanno fallito? Lo vedremo
nei prossimi mesi, ma già le necessità imposte dall’essere
Presidente del Consiglio e di guidare il partito (di gran lunga)
maggiore della coalizione hanno “costretto” ad una salutare
chiarificazione sulla collocazione internazionale e sui rapporti
ambigui col triste ventennio, e hanno posto l’attenzione sulla
importanza di selezionare una classe dirigente presentabile
(anche se mi sembra, al momento, con esiti non entusiasmanti).
Vedremo in tempi brevi se sarà stata mera tattica opportunistica o se c’è
reale volontà di essere una cosa nuova, vedremo se il
confrontarsi con le esigenze del governo avrà la meglio sugli
impulsi irrazionali che spesso hanno portato a soffiare sul
fuoco acceso dalle diverse emergenze anziché a riflettere sulle
possibili soluzioni. Per il paese è bene che il tentativo
riesca e che ci si avvii verso, finalmente, una democrazia
compiuta dove un partito conservatore e un partito democratico
si contenderanno il consenso popolare, senza reciproche
delegittimazioni e rischi di scenari più o meno apocalittici. Si
presenta, forse, ancora più complesso, a questo punto, il quadro
nello schieramento opposto dove il Pd, che avrebbe dovuto
costituire il punto di riferimento per una alternativa alla
Destra, data ampiamente avanti in tutti i sondaggi elettorali,
ha senza nessuna motivazione politica abdicato in partenza al
suo ruolo sbagliando tutto ciò che c’era da sbagliare. Enrico
Letta (di per sé inadeguato come segretario di partito, pur
essendo persona preparata e seria) ha fallito semplicemente
perché non ha avuto coraggio…di cambiare vecchie abitudini, di
rinnovare classe dirigente, di cercare di modificare una
narrazione ormai consolidata nella pubblica opinione che
descrive il Pd come apparato di potere, con dirigenti famelici
preoccupati di mantenere il proprio status quo (e spesso anche
quello dei familiari). Non ha avuto il coraggio di aprire
veramente il partito alla società nonostante la intuizione delle
Agorà democratiche di cui si è persa ogni traccia. La scelta
dei candidati nei listini bloccati (tutti legati all’apparato) è
stata l’emblema di tutto ciò ed ha contribuito ad aumentare la
siderale distanza del partito dai suoi stessi mondi.
Occorre, quindi, ricostruire o rifondare (eventualmente passando da un suo
scioglimento) il Pd perché nonostante tutto rimane punto di
perno essenziale, per storia e competenze, per l’alternativa
credibile e non improvvisata alla Destra. E, all’interno della
questione Pd, si deve necessariamente affrontare il tema della
presenza e del ruolo di un centro, popolare e cattolico
democratico, orgoglioso della sua ispirazione e dei suoi
riferimenti culturali, senza il quale il Pd rischia di essere
altra cosa. Non una presenza marginale da sfamare con
qualche accomodamento personale e familiare per famelici e
autoproclamatisi rappresentanti, ma come un nucleo pulsante di
pensiero e di idee secondo la direttrice indicata dalla sua più
feconda tradizione che va da Sturzo a De Gasperi, da Dossetti e
Moro, da De Mita a Martinazzoli.
** da Il “Domani d’Italia” del 28 ottobre 2022
*** Mario Sirimarco è docente di Filosofia del diritto
presso l’Università di Teramo