Gli odiosi processi a carico di braccianti o di operai e di
ditte per il reato di falso e truffa, avendo attestato una
attività lavorativa non regolarizzata. O il caso di donne che
avevano lavorato senza assicurazione fino a qualche giorno prima
dal parto: l’assistenza soltanto per chi avesse versato i
contributi alle Mutue perché occupato. Chi non poteva comprare
la prestazione direttamente dal privato, non ci si curava.
Poi il 23 dicembre del 1978, abolito il sistema delle mutue,
l’assistenza sanitaria divenne universale a carico della
fiscalità generale. Immagino la senatrice Tina Anselmi e chi
aveva voluto il nuovo sistema non riuscire a trattenere un urlo
di gioia. Ricchi e poveri dipendenti e autonomi, disoccupati e
poveri cristi avevano l’assistenza sanitaria secondo il sistema
universalistico pur in piena emergenza terroristica.
Quell’urlo oggi sta tornando in gola e soffocherà una società
sempre di più dedita allo spreco di conquiste sociali, non
custodite abbastanza.
Cartabellotta della Fondazione Gimpe sostiene che la salute non
è più un bene supremo da tutelare, ma una merce da vendere e
comprare. Stavolta non soltanto i deboli pagheranno per un
sistema tornato alla discriminazione. Una prestazione si pagherà
due volte, con la fiscalità generale e con soldi tolti dalla
tasca del cittadino.
Intanto il Fondo sanitario nazionale dal 2027 scenderà sotto la
soglia del 6% sul Pil, per poi precipitare al 5,7 % nel 2029,
dacché era del 6,6 % nel 2012.
Il sistema si sta progressivamente autodistruggendo nella
irrilevanza per i disagi dei cittadini e per una classe
dirigente il cui impegno è sostenuto solamente dai “bla bla” dei
faremo, per non citare il solito pur grave “caso Calabria”.