Parole importanti, parole inutili, parole dannose, poche parole
o troppe parole.Le
parole (?) dei leoni da tastiera, quelle delle persone comuni e
di cultura e quelle dei sapienti, che, prese da varie fonti e
fatte nostre, quotidianamente pubblichiamo nelle storie e nei
post.
Tante e talvolta oggetto di una esasperata esposizione, tale da
determinare, talvolta, senza una reale condivisione, una
progressiva assuefazione e banalizzazione del sapere che,
all’opposto, deve essere custodito e protetto, esibito “cum
grano salis”.
In questa enorme diffusione di parole (belle, brutte,
importanti, banali, a volte orrende) non corrisponde, in
generale, una migliore relazione tra le persone nella vita
reale, né un miglioramento dei comportamenti nel privato e nella
società.
Le parole, come espressione del “logos”, sono, principalmente,
comunicazione, scambio, arricchimento, conoscenza, amore.
Se usate per il bene sono la luce che illumina le strade
dell’empatia, della consapevolezza e della libertà. Al sempre
più presente “politically correct” dobbiamo, poi, la tendenza
alla riduzione delle parole e l’impossibilità di descrivere
concetti per i quali servono, di volta in volta, anche parole
scomode, se necessario.
E su questa infida strada, potrebbe profilarsi all’orizzonte un
paradosso orwelliano.