Il tema, la cui trattazione è stata acutamente inaugurata da
Giuseppe Aloise e proseguita fin qui, significativamente, da
Walter Brenner, Maurizio Misasi e Paride Leporace, ha posto alla
nostra riflessione una importante questione filosofica
(ontologica, epistemologica, ermeneutica, etica) che tocca,
essendone diretto corollario, il nucleo essenziale del pensiero
contemporaneo.
Si può dire che esso (trovando il suo incipit nella demolizione
della filosofia tradizionale operata da Leopardi e da
Nietzsche), a seguito della “morte di Dio”, ritiene che non ci
sia più spazio per un sapere incontrovertibile, una “episteme”,
una verità metafisicamente fondata. Anche la scienza
contemporanea non presenta più, del resto, questi caratteri
presentandosi probabilistica e anche incerta su tanti aspetti.
Esiste solo l’incessante e caotico divenire delle cose, senza
logos e senza fondamento: la realtà è solo l’apparire
fenomenologico dove tutte le cose (gli enti) entrano ed escono
dal nulla (secondo quella direzione teoretica colta per primo da
Leopardi quando ha scritto che il fondamento di tutte le cose, e
di Dio stesso, è il nulla).
Se sul piano etico l’assenza di Dio ha giustificato tutti gli
obbrobri (come profetizzato da Dostoevskij) sul piano del
linguaggio l’impossibilità di una verità consente altrettante
nefandezze.
É chiaro, cioè, che in questa prospettiva non ci sono fatti ma
interpretazioni. L’antica retorica, un tempo strumento per
cogliere la verità, trascolora in mera competizione e rissa
verbale, la parola diventa menzogna (fake), la menzogna
amplificata e resa accessibile dai social diventa
“instrumentum regni”.
Così si alimenta, apparentemente senza rimedio, il degrado delle
nostre scricchiolanti democrazie.