Precede
la realtà o la segue. Ho letto con interesse il dialogare tra
Giuseppe Aloise e Walter Brenner su “res et verbum”. Forse una
legittima e condivisibile “geremiade” su “tempora e mores”.La citazione di Catone “rem tenet verba sequentur”
introduce una prospettiva di conseguenzialità ineludibile tra
l’argomento, la “res”, e le parole da esso generate. Il titolo
reale come seme del discorso.
Eppure
c’è un’esperienza umana, quella profetica che annuncia senza
conoscere.
Così
come negli oracoli di Delfi, la parola aveva riverberi di
necessitata ambiguità. Sembrerebbe allora che il contemporaneo
disgiungersi della parola dal suo senso stringente possa
manifestare il bisogno nuovo dell’uomo contemporaneo di
liberarsi dalla logica per generare un nuovo kaos primordiale e
generativo per una nuova umanità adveniente. Forse in tal senso
va letta tutta la fenomenologia sul “genere” delle cose e delle
persone, così come la “cancel culture”. Quasi un bisogno
strumentale di disordine orgiastico dionisiaco ed iconoclasta.Nella speranza del nuovo. O forse si tratta solo di un
passaggio traslitterativo delle parole così che viviamo in una
tempesta perfetta di parole diventate fluide.
Byung
Chuk Han la chiama la “shit storm” della comunicazione e la
conseguente crisi della narrazione; può darsi, e forse bisogna
che accada perché è necessario prima perdersi per potersi
ritrovare. Chi perde la sua vita la ritroverà.
La
citazione di Nicola Misasi e del suo “Anima Rerum”, mi ha fatto
pensare al libro “Non è un paese per vecchi” diCormackMac
Carty, così come all’Anima dei luoghi di James Hilman. C’è
un’impassibilità delle cose, leggi luoghi, che restano tali,
nonostante le macerie che si dovessero accumulare su esse. Se le
nuove parole sdrucciolevoli si sedimentano e stratificano
sull’anima antica del mondo, occorrerà tornare a scavare nel
profondo alla riscoperta di un nuovo originario originante.
Saliamo come Nemo sul Nautilus e scendiamo a ventimila leghe
sotto i mari del nostro inconscio collettivo, lì ritroveremo noi
stessi.