Agazio Loiero ha pubblicato ancora sul
Mulino di agosto alcune riflessioni sul Mezzogiorno. E’ fra i
pochi che non sfugge il tema.
Suggestive e vere le sue riflessioni sugli
esiti delle emozioni suggerite dalle scene più crude degli
emigranti squassati dalle onde del mare e dalla disperazione di
mani che cercano il soccorso.
La visione tecnocratica dell’oggi, pur
unica in campo, sicuramente non genera un’etica della
responsabilità collettiva e quindi incisive scelte politiche;
essa sprofonda in esternazioni di convenienza, tendenzialmente
senza emozioni, ispirate alla opportunità che la mano stesa ai
poveri sia conveniente per i ricchi perché acquisisce gli
emarginati ai processi produttivi, un poco come ai tempi della
legge Le Chapellier.
Ma all’epoca della Rivoluzione francese si
usciva dal feudalesimo per entrare nella fase della liberazione
delle energie sociali collettive e individuali. Non a caso
appunto si affermava il liberalesimo.
Oggi al contrario si è entrati,
decisamente, in un nuovo feudalesimo che, concentrando la
ricchezza in poche mani, genera una economia senza mercato.
Da qui la crisi planetaria delle economie e
l’impoverimento materiale e immateriale del mondo, ormai
tendenzialmente unico.
Figurarsi se può avere cittadinanza nel
dibattito politico la riproposizione del mezzogiorno d’Italia o
di quello d’Europa.
Ciò che suscita perplessità è quindi la
proposta, pur impreziosita dalla sua stessa esigenza, della
ricerca e dell’affermarsi di un “nuovo umanesimo” quale unico
futuro “abitabile” per le nuove generazioni.
I partiti ideologici del periodo storico di
prima della caduta del Muro di Berlino si contrapponevano
vicendevolmente, tendendo contemporaneamente ad universalizzare
il messaggio verso la società intera, nazionale e
internazionale, verso le giovani generazioni in particolare.
Succede oggi la medesima cosa, mi sembra;
solamente che nel passato meno recente erano i partiti a
lanciare il messaggio politico; oggi, se si osserva senza
pregiudizi, sono le nuove generazioni che inviano messaggi
eloquenti e senza punti di mediazione.
Allora il tema è: “a chi sono destinati
tali messaggi”?
Fra la decadenza dei partiti ideologici e
l’oggi, che è caratterizzato dall’era della crisi collettiva,
c’è la politica populistica, attori i partiti personali e quindi
scatole vuote.
Ma torniamo ai messaggi eloquenti delle
nuove generazioni.
Il primo messaggio è quello per il quale le
differenze su cui si basavano le ideologie sono praticamente
scomparse ed effettivamente, guardando il viso o la mimica o
osservando il parlare dei giovani africani, c’è una
rassomiglianza impressionante con i giovani europei ed
occidentali. C’è una linea sempre più evidente che lega i
giovani europei e i non europei, africani o latino americani che
siano.
Analisi che abbiano compiutezza, non
possono che partire dal dato della unicità delle aspirazioni e
dei progetti di vita, non solamente ispirate dalle tendenze al
consumismo ma anche allo sviluppo della compatibilità ambientale
e del sistema della sicurezza sociale, avendo le ideologie
passate sommosso ben bene il terreno della sensibilità politica
perché proprio le sensibilità divenissero comuni pur in
differenti contesti sociali e vissuti individuali.
Questa osservazione ci da la possibilità di
individuare, quale soggetto politico possibile, quel soggetto
che possa “ospitare e rappresentare”. Naturalmente al di là dei
confini nazionali, di ogni nazione e di ogni paese!
C’era un politico visionario negli anni
’60, Giorgio La Pira che predicava il dialogo tra i figli di
Abramo, condizione per un Mediterraneo pacifico, a sua volta
strumento di amplificazione di messaggi fra i più umani, che
includa oggi anche l’Africa sub sahariana.
Si consideri poi che il modello di sviluppo
lineare del sistema industriale e postindustriale è in crisi
profonda; le concentrazioni produttive lasciano il campo alle
speculazione finanziarie mentre le attività del territorio, da
quelle agricole a quelle artigianali in gran parte sono state
dismesse, fra esodi e impoverimenti e la miriadi di opere
incompiute.
Il modello non può essere la
Polis come l’area
antropizzata intensamente che includa la completezza delle
attività umane, la forza delle istituzioni e caso mai la dovizia
o la fragilità delle economie locali, perché essa contraddice la
tendenza alla globalità che invece è da considerarsi
inarrestabile.
E’ più congruo, invece, valorizzare il
modello delle città sparse sul territorio, che poi è proprio
della civiltà italica, costituite da piccoli aggregati
tendenzialmente specializzati, che potrebbero federare non
solamente le competenze specifiche ma anche la conoscenza, le
loro tradizioni, il loro “genius loci”.
Ciò potrà essere possibile con l’uso del
linguaggio interattivo delle moderne tecnologie di comunicazione
a distanza.
Certamente, a questa Europa unita, con
l’interesse costante rivolto alla perpetuazione del potere
dinastico del nuovo medioevo, non sarà facile opporvisi; un
motivo in più per consentire la realizzazione di un territorio
dove la presenza di giovani di varia provenienza vivano in una
unica comunità quanto più vasta possibile e quanto più segnata
da punti di aggregazione.
I messaggi di riconoscimento di una
identità non rigida ed invece inclusiva, a costo di modificare
tradizionali opinioni, sembra il “leitmotiv” dei messaggi di
Papa Bergoglio.
Ma la società civile sarà in grado di
accettare di dismettere modi di pensare, il quotidiano, un certo
tipo di benessere pur in crisi, per affrontare il “rischio” di
nuove identità “, maggiormente inclusive?
O i movimenti integralistici e oltranzisti
islamici di fatto si alleeranno nella sostanza con il
conservatorismo occidentale intriso di buoni affari per pochi?
L’osservazione non è una concessione alla teoria del complotto,
pur rimanendone probabili gli esiti.
Se invece la prospettiva sarà una generica,
colta quanto si vuole, ma pasticciata “nuova rinascenza”
confinata negli angusti spazi territoriali nazionali o europei,
o di razza bianca, appunti per una cultura fantastica rivolta
all’indietro, si rivelerà espressione vacua e non ci sarà la
riscoperta di una rinnovata etica civile e comunitaria.
Si moltiplicheranno le ragioni di polemica
e avranno ragione coloro che certamente hanno torto, ovvero chi
rivendica la difesa dell’etica tradizionale basata sulla
identità territoriale.
D’altra parte se gli obiettivi li
manteniamo ristretti e piccoli, nulla impedirà a chiunque di
notare le incoerenze del predicare bene e del razzolare male.
Il percorso è ancora agli inizi. Tuttora ci
dibattiamo nelle crisi di identità per cui rimaniamo nella
logica del potere, tante volte citato da Shakespeare, per cui il
delitto paga.
In assenza di quell’impegno politico forte,
sarà la catastrofe perché sono invincibili gli arsenali della
sopraffazione di cui i pochi dispongono: strumenti di
condizionamento usati da chi è formalmente legittimato.
D’altra parte il rischio del professare
politiche apprezzabili, non può identificarsi in azioni
di recupero di piccoli spazi politici, seppur questi fossero
consentiti.
Spesso mi sovviene l’intimo del profilo dei
personaggi di Brancati che avevano grandi qualità per avere
cognizione dell’animo umano, contrappuntate tuttavia dallo
strabico senso della impotenza, così visibile nelle vicende
umane proprio al Sud dell’Italia.