A
San Gimignano si ne contano tredici Torri medioevali. “Si dice
che nel Trecento ve ne fossero settantadue, almeno una per ogni
famiglia benestante, che potevano così mostrare, attraverso la
costruzione di una torre, la loro potenza o influenza”.
La torre in epoca medievale era il massimo simbolo della potenza
che solamente i ricchi potevano realizzare, visti gli alti costi
e così divenendo il discrimine fra i ceti di maggior peso.
Ma
non fu sempre così.
Comunque l’intenzione non è quello di curiosare, qui, sulle
vicende degli assetti urbanistici e di potere della Toscana
dell’alto e basso medioevo.
Piuttosto chi volesse esercitarsi, troverebbe modo e maniera di
descrivere paralleli significativi, come dice il mio amico
archeologo Giuseppe Roma, fra la esigenza di costruire una torre
sulle colline del vino buono in Vald’Elsa, e la
esigenza nell’Italia di oggi di realizzare un partito.
Partitino o partitone, questo dipende dal capo e dal
finanziatore, sempre però in nome della libertà e del pluralismo
democratico, del liberalismo, della diga allo statalismo per non
esagerare sulla idea del “bene comune” e contro ogni forma di
espressione autenticamente collettiva, considerata la
deformazione del cittadino, cui viene attribuito di tutto; dai
diritti alla gratificazione di sentirsi parte di un futuro, non
importa se tale futuro è proprio quello del cittadino o quello
dei furbetti che glielo fanno credere.
Se
fossi nella Stoa ragionerei così.
Si
dice che un partito sia una organizzazione che rappresenta una
parte della società, una porzione di opinioni sulla società e
sulla organizzazione del governo della comunità e quindi
rappresenta una parte del tutto.
Da
qui la avversione, quasi nietzschiana ( ? ), ad orni forma di
intuizione che neghi l’assoluto, o meglio il valore sintetico
dell’unità spirituale dell’uomo che contiene i germi
dell’assoluto.
La
sensazione è a volte la tentazione di confermare la
insufficienza del partito a legittimarsi come fonte
organizzativa di un società che, per essere tale, si deve pur
riconoscere complessa e plurale.
Se
cioè la società è plurale e complessa, come può essere che una
entità parziale come il partito politico possa rappresentarla?
La
osservazione è ragionevole nella sua logicità formale ma è
altrettanto deficitaria nella parte in cui il ragionamento non
aggiunge che proprio perché partito, esso non può che immaginare
di non essere solo, di essere cioè in concerto con altri
partiti.
Il
Partito è parte di un tutto complesso per definizione e quindi
richiama la previsione di
più partiti.
Si
dirà: ma è un modo per sfuggire alla contraddizione che
solamente la guida unitaria può suggerire fiducia e spirito
umano ad una umanità che aspiri ai valori. E sia pure!!
Cioè
i partiti sono il modo di organizzare la complessità.
Naturalmente sempre che si sia d’accordo sul pluralismo e sulla
molteplicità in un orizzonte che racchiuda il divenire del
cammino della società, come ribadiva spesso Aldo Moro.
Sempre che si sia d’accordo nel ritenere che non solamente i
ricchi e i benestanti possano fondare o sostenere o orientare un
partito, partitino o partitone che sia, come viceversa non
succedeva per le torri del medioevo italiano.
A
ben vedere però, dalla pluralità di partiti non si raggiunge la
grande idea fondamentale che orienta e accompagna la evoluzione
della società.
Ahi
voglia di mettere insieme il cieco ed il sordo !!
L’esperienza delle democrazie del novecento hanno mostrato il
contrario.
Cioè
dalla grandi idee sono nate i partiti. Sarà sempre così?
Non si sa.
Checchè se ne dica, meglio che si confermi quest’ultimo scampolo
di filosofia idealistica; a scanso di equivoci e per non
consentire oltre il sorgere pretenzioso di altre torri, per il
sorriso di turisti stranieri incuriositi da questi variopinti e
divertenti italiani.