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il Fondino del 08 Giugno 2013
I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia
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Non è la prima volta che sfoglio ed
alcune volte mi soffermo su un saggio o uno studio o una
testimonianza, più o meno ben scritta, sulla vicenda del
rapimento e della uccisione di Moro e della sua eliminazione
fisica e politica.
Spesso i grandi delitti sono esiti di
complotti per cui non bastano, per la loro comprensione, gli
elementi iniziali ancorchè complessi. Gli eventi successivi, a
distanza di quanti anni non è dato sapere, spiegheranno tutto o
quasi.
La motivazione apparente, per quanto
studiata e approfondita, non è che la premessa.
E Ferdinando Imposimato, scrivendo i “55
giorni che hanno cambiato l’Italia” questo merito lo ha
sicuramente.
Devo dire che non ho alcun gusto per
l’aspetto investigativo di questa terribile vicenda, come di
tutte le vicende del genere; non ho molta confidenza con questo
tipo di attività o modo di “intelligere”
la realtà, piuttosto mi attrae
e mi affascina il gioco delle ipotesi che si muovono, si
appalesano e a volte si dissolvono, magari per ritornare;
interessante avverto la convergenza di ciò che compone il puzzle
del maggior numero di elementi.
La premessa della documentazione di
Imposimato è chiara, piana ed è stato l’oggetto del primo e
perdurante impatto nell’immaginario collettivo: l’interesse
convergente alla eliminazione di Moro degli Stati Uniti ( quelli
dell’uccisone dei Kennedy ), dello Stato sovietico, della
partecipazione al gioco della Bulgaria e della Cecoslovacchia.
Fin qui nulla di nuovo, perché sono
conferme.
L’apparire ossessivo di personaggi come
Andreotti e Cossiga nemmeno sono una sorpresa.
Così come assolutamente banale è la
constatazione che esistessero all’epoca due partiti, quello
della trattativa e quello della fermezza.
La sorpresa è stata apprendere che si
conosceva la prigione di Moro di via Montalcini, l’unica dalle
risultanze processuali dello stesso Giudice Imposimato, e che
esisteva un terzo partito: il
partito dell’intervento armato nella prigione di Moro, conosciuta e
sorvegliata sin dai primi giorni del rapimento.
La cosa inspiegabile è che lo stesso
Imposimato viene a sapere tutto ciò da testimonianze, che egli
afferma attendibili, rivelatisi spontaneamente dopo almeno 20
anni dai fatti e dai processi.
Il
partito della fermezza è quello che ha vinto: Ok !
Se avesse vinto il
partito della trattativa,
Moro, liberato, sarebbe stato un protagonista della vicenda
politica “non più protagonista” e nemmeno Berlinguer, sempre
preoccupato delle derive fasciste e “cilene” gli avrebbe
corrisposto.
Quindi, ai miei occhi a cui non interessano
gli aspetti investigativi, la trattativa e la liberazione
dell’ostaggio, pur con il riconoscimento delle BR, sarebbe
servita a salvare la vita di un uomo ma ad annullare un
protagonista della politica italiana, anzi il protagonista. Che
poi era il vero obiettivo dimostrato nelle premesse e relativo
all’interesse russo-americano.
E’ il terzo partito, quello dell’intervento
armato e della liberazione senza trattativa dello Statista
tramite irruzione
nel covo -prigione delle BR, che non conveniva prevalesse,
perché avrebbe salvato la vita di Moro e lo avrebbe restituito,
integro alla politica.
Questa la ragione, da quel che traspare dal
libro di Imposimato, della rinuncia alla operazione militare,
fra l’altro preparata nei minimi particolari e pronta per essere
realizzata.
Tanto che l’ordine di interrompere
l’operazione viene all’ultimo momento poco prima che le
conseguenze “operative” della vittoria del partito della
fermezza producesse l’effetto dell’assassinio del Presidente.
Cioè: Moro doveva morire.
Se ne deduce che gli autori del misfatto
furono coloro che non diedero l’ok alla operazione “liberazione
armata”. Ma costoro erano proprio quelli che avevano favorito la
preparazione del blitz e quindi si deduce che se avessero voluto
da principio la vittoria del partito della
fermezza, non avrebbero preparato l’operazione delle
teste di cuoio.
Il quesito è legittimo, pur non avendo
alcune valore di essere esimente di responsabilità dei
protagonisti istituzionali.
Tuttavia, ed Imposimato ne accenna
fuggevolmente ma tralasciandolo troppo in fretta, tutto questo
ragionare fonda la sua logica nella convinzione che il livello
politico e quello militare ed operativo, non solamente
collaborassero, ma che
il livello politico mantenesse la supremazia su quello
militare, come nella Prima Repubblica si dava per scontato.
E’ stato quello il momento in cui la
politica ha iniziato a cedere porzioni importanti di potere di
cui ai giorni nostri verifichiamo la titolarità in testa alle
burocrazie, militari o amministrative che siano.
In fin dei conti tutto si imbroglia e
sfugge di mano proprio perché la supremazia si rivela militare e
comunque esterna alle istituzioni costituzionali e la politica
diventa servente e quindi impotente.
I veri protagonisti “negativi” che
Imposimato segnala in Andreotti e Cossiga sono piuttosto
marginali di fronte ai protagonisti che nemmeno i processi hanno
individuato in maniera certa.
Il bradisismo della vita italiana che tende
a sprofondare i fondamenti del vivere civile del Paese, che
allora inizia con lo sconvolgimento degli assetti della
organizzazione dello Stato, continua ancora oggi e da allora non
si ferma !