Oclocrazia e Pulcinella

il Fondino del 29 Luglio 2012

Oclocrazia e Pulcinella

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Con questa strana parola Polibio definirebbe la degenerazione della Democrazia, che porta un capopolo a impadronirsi demagogicamente del potere e quindi utilizzando le norme che regolano la democrazia a cominciare dal quelle elettorali.

E’ già avvenuto nella prima metà del novecento e nell’ultimo novecento e nulla impedisce che si possa perpetuare prossimamente.

 In un recente saggio scritto a due mani, Ezio Mauro, Direttore di Repubblica e Augusto Zagrebelski, Presidente emerito della Corte Costituzionale, sostenevano che i valori della democrazia sono consolidati a tal punto che è impensabile che qualcuno possa ritenere a rischio i suoi valori o che li possa mettere a rischio.

La indeterminatezza delle conseguenze o delle opportunità che la democrazia offre sono pari alla sua difficile collocazione in un firmamento dei valori civili che la fissi con un parametro irriducibile.

Avvertendone l’approssimazione, non solamente concettuale ma anche storica, perfino la sua contraddittorietà, perfino la sua strumentalizzazione sempre possibile proprio perché valore condiviso e di uso comune, possiamo semplicemente definirne i rischi: la evanescenza dei postulati della democrazia, il loro utilizzo, la loro strumentalizzazione, il loro immiserimento, il generico ma puntuale degenerare nella inconcludenza della prassi democratica.

La democrazia più che il testo di una opera teatrale potremmo paragonarla alla maschera con cui gli attori la recitano.

Maschera che ha caratteri sempre uguali, ma la cui espressione, malgrado la fissità della immagine, ispira a seconda dell’afflato interpretativo dell’attore.

E’ quel che capita spesso nelle recite dove compare la maschera di Pulcinella, che riesce, nella fissità delle sembianze esteriore, ad esprimere una varietà di sensazioni e addirittura di sentimenti, di pulsioni dell’animo, tanto varie quanto ricche ed introverse, malgrado il linguaggio esplicito e popolaresco.

 E’ quel che succede in democrazia, per cui non è condivisibile l’dea che la democrazia resista ad ogni possibile picconata, che sia un valore acquisito per sempre, che la forma tetragona prevalga  sulla sostanza.

Basterà infatti immaginare una legge elettorale che riproduca equilibri  sociologicamente superati, per vanificare, con una semplice norma organizzatoria come sono tutte le leggi elettorali, la “riparazione” della democrazia in Italia ed attraverso di essa la liberazione delle energie vitali indispensabili per questo paese, come ama ripetere Giuseppe De Rita non tanto quelle eroiche e singolari degli uomini illustri o di ciò che sembra “potente”, ma delle piccole straordinarie realtà disseminate su tutto il territorio nazionale da nord a sud, di cui ha usufruito il processo di modernizzazione ed il processo di avanzamento civile del paese da dopo la seconda guerra mondiale

 Che non è riparazione della forma, ma riparazione di una sostanza fatta di esclusioni: la non crescita, il non cale per una idea dello sviluppo, mollar le briglie di uno stato letteralmente a pezzi dove governano i gabellieri, dove la patologia non è una eccezione ma la regola, insomma dove sono saltate le “compatibilità” su cui regge ogni sistema, non essendo perfetto, ma avendo in sé gli elementi vitali strutturali.

Franco Petramala