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il Fondino del 19 Giugno 2012
Vita e morte delle nazioni
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Il senso della vita lo dà la morte? O se c’è lei non ci sono io
e viceversa?
Domande di sempre; queste appaiono di tono logico; non più
sufficienti a spiegare e spigarci le cose della vita e della
morte. La immediatezza e la levità di Epicuro sono
insufficienti.
In fondo il senso della vita lo dà la vita stessa.
Possiamo vivere con l’idea cristiana della vita oltre la morte,
la terrena molto valorizzata ed apprezzata, che prefigura una
idealità diversa dalla naturalità, attratta dalla immortalità
per tutti.
O “possiamo vivere secondo le morali laiche per cui la
immortalità è di pochi”, come osserva Bauman”; degli uomini
famosi o meritevoli di ricordo da toponomastica per esempio.
Prima dell’epoca che viviamo il vivere era dedicato a rinnovare
la nostra identità che aveva alcune certezze, a volte molto
rigide e schematiche altre volte più progressive come dimostra
la storia delle conquiste umane nel sociale; a tendere alla
definitività del lavoro e poi alla ricerca professionale del
lavoro e alla sua localizzazione.
Ma esisteva una linea di continuità da seguire e, raggiunta la
meta, si aveva la sensazione di potere pensare a chi sarebbe
venuto dopo, nella famiglia, nel mestiere e nella comunità.
Così i giovani nutrivano aspirazioni e progetti condividendone
il mistero che è in ogni futuro, ovviamente anche gli aspetti
innovativi e avventurosi.
C’era l’idea di una vita parte di un tutto che comunque ci
riguardava, pur nell’immensità del “tempo comune” .
Attualmente invece c’è la coscienza di vivere un tempo preso a
prestito che ci imporrebbe
di usarlo saggiamente.
Pur essendo un messaggio di senso compiuto, non se ne fa un uso
saggio ed è da qui la crisi dell’uomo nuovo ed attuale rispetto
a quello di prima. Non nella voglia di tentare l’impossibile
(Jobs) né nel reinventarsi di continuo, o nel ricominciare, il
che sarebbe coerente con l’idea di un progresso lineare, non
originale nella storia delle idee; ma nella convinzione che il
“futuro è adesso” e quindi con la pulsione del godimento subito,
quanto più è possibile: di tante cose superflue sacrificando
l’essenziale come nel consumismo a tutti i costi di recente
declino; di tanti “mutui ipotecari” senza che essi provochino
acquisizione reale del bene-casa, ma con l’effetto solamente
dell’indebitamento ed impoverimento delle famiglie, a vantaggio
del Leviatano moderno che è il mondo della finanza.
E poi accarezzare l’altro mostro della droga, l’altra droga
della fiducia infinita nelle terapie mediche, per cui morire non
è una condizione inevitabile; “se si muore si viene uccisi da
errori che noi o la scienza non siamo
riusciti a risolvere”.
Addirittura diventa psicologicamente attendibile il volere
morire o meno; più semplicemente è vero che si può scegliere di
cosa morire, Questo si, ma come sempre è stato !!
E si muore davvero quando la familiarità finisce per diventare
invisibilità, delle cose positive e di quelle negative, e non ci
si rende conto che per soddisfare l’idea di godere
“hic et nunc” si può distruggere il Pianeta.
È la familiarità una delle cause più deleterie dell’uomo,
dell’uomo di ogni tempo.
L’assopimento che lo immiserisce nella mancanza di curiosità,
nella assenza di voglia di osservare dall’alto. Anche per le
nazioni è’ così.
Il rapido
risveglio sta
diventando ogni giorno più urgente !
Un grande lunga crisi può distruggere come un terremoto
catastrofico. Una crisi contenuta può salvare dalle cattive
abitudini delle familiarità.