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il Fondino del 14 Settembre 2012
Il lavoro
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Per il prof Carlo Scognamiglio, il prestatore di lavoro mette a
disposizione le sue energie psico-fisiche al fine della
realizzazione di un bene o servizio nell'interesse del datore di
lavoro. Si avrebbe pertanto un fenomeno di alienazione delle
energie psico-fisiche del lavoratore al datore dietro compenso.
La definizione di quel mio professore di diritto civile non
tiene però conto dell’inserimento del lavoro, in tutte le sue
accezioni ma massimamente di quello subordinato, nella carta
costituzionale e nella valenza costituzionale del lavoro; prima
ancora che categoria giuridica e quindi riconoscimento di un
diritto fondamentale, la Costituzione del 1948 qualifica il
lavoro nella sua sostanza, come dire antropologica, espressione
della dignità dell’uomo e del cittadino. Prima ancora l’aveva
fatto Leone XIII nella rerum Novarum.
In qualche modo questo uomo, rinveniente dalla sua storia
profonda, ad un certo punto della sua evoluzione si è inventata
la categoria del lavoro. Forse per caso, forse per necessità.
In essa ha inserito finalità, utilità, fertilità nella
creatività, gratificazione morale e materiale, posizione sociale
e status symbol, assumendo così un ruolo nelle dinamiche sociali
e di, seguito, istituzionali.
Insomma un patrimonio di vita e di quotidiano, valorizzando il
quale l’ha nobilitato accettandone i contorni i limiti la
espansione.
Mi convincono meno le teorie sulla libertà e sull’elemento
individualistico dell’avventura umana nei secoli a noi più
prossimi, compresa la natura innata della libertà individuale.
Qualche apprezzamento in più si deve invece tributare alla
religiosità nell’apprezzamento del lavoro, riducendosi
l’attività dell’uomo alla semplicità e quindi alla immediatezza
dell’essere consapevole di fare parte di un tutto dove la
conservazione del creato è missione, spirito di adattamento e
tributo di riconoscenza.
Intanto l’aver
trovato il
lavoro è stata una conquista straordinaria, come quella
dell’invenzione del fuoco. Esplosione di vitalità e visione
magnifica del potere dell’uomo sul mondo fisico.
Riprovando in continuo a valorizzarlo, il lavoro è duvenuto un
patrimonio non solamente collettivo ma sopratutto individuale,
ha arricchito la personalità dell’uomo e poi del cittadino,
motivando la sua riflessione esplicita e portentosa sulla
motivazione ad esistere fuori dalla giungla o dall’Eden.
È la prima vera rivoluzione della modernità, è la finestra
aperta su un mondo fino ad allora statico e impoverito, senza
passato e quindi senza futuro.
L’uscita dall’Eden sarà stata pure per un peccato e come tale
punito, ma fu anche rivoluzione indicata con la medesima
autorità, perché iniziasse il viaggio dell’uomo nella storia e
nel mondo.
Ma questo accumulo di risorse impiegate, offerte per il diretto
vantaggio di altri, ha suggerito all’uomo lavoratore una idea di
esclusività, di conquista di una
dimensione sua propria.
Tuttavia ha creato anche una certa fragilità nella posizione di
chi lavora per conto di altri, perché non è stato risolto il
tema di cosa ci sia dalla parte di chi domanda il lavoro.
Per questo sono nate teorie e dottrine sulla lotta di classe che
nel tempo hanno dispiegato i loro effetti sui rapporti di forza.
Malgrado le mitigazioni normative primarie e secondarie, formali
e materiali.
Dunque il lavoratore fruisce della sua stessa prerogativa umana
e della sua conquista, mettendola a disposizione della
gratificazione di altri uomini o dei sistemi.
Ma cosa succede al lavoratore se gli viene negata la possibilità
di lavorare o gli si toglie il lavoro?
Succede che il lavoratore, al di là della rinuncia forzata al
lavoro, rimane nudo proprio delle sue prerogative e delle sue
capacità di gratificazione morale e materiale.
Non è la condizione del subordinato che dà luogo alla lotta di
classe all’interno dei rapporti di forza e della storia di tali
rapporti.
Il compito del lavoratore non è la rivendicazione
del suo ruolo e del suo
“diritto”, la pretesa di essere una componente essenziale della
produzione.
Il rischio che oggi il lavoratore avverte e drammaticamente
confessa è la perdita del suo status umano, prima che sociale,
poiché si è consolidata l’idea che la dignità dell’uomo
lavoratore è il presupposto della sua evoluzione e della sua
stessa esistenza.
Il quesito è semplice. Se si toglie oggi il lavoro ad un
lavoratore, cosa gli resta? Il suo patrimonio è il lavoro, la
sua capacità, la sua volontà, la sua predisposizione al lavoro.
Il grave non è che perdiamo la possibilità del positivo
confronto all’interno del sistema, il gravissimo è che perdiamo
il patrimonio di valori su cui è stata fondata la evoluzione
dell’uomo-lavoratore-cittadino.
Sicchè la crisi del sistema colpisce al cuore la sua evoluzione
con la conseguenza drammatica che non chiude una fabbrica, ma si
realizza la caduta di una cultura, di un “credere”, di una
fiducia in un insieme di coesione sociale vivido di speranza.
In tutto questo riflettere mi accorgo che c’è un aspetto
inquietante.
La predestinazione del lavoratore; il lavoratore è descritto
come una “species”, come se fosse chiuso in un sistema che lo
considera nella sua condizione sociale come elemento fisso ed
inamovibile, soprattutto per quel che egli riconosce in sé
stesso.
Voglio dire che la speranza avveniristica nella lotta di classe
e la stessa utopia del socialismo, non ha avuto esito positivo
nel passato ‘900 tanto contraddittorio. L’attuale condizione di
debolezza del lavoratore così privo di garanzie nella
prevedibilità nel futuro, lo getta in una condizione di
disperazione e di soggezione più assoluta che mai e nemmeno al
suo datore di lavoro che non c’è più !
Soggezione ad un sistema che lo rifiuta non riconoscendolo,
soggezione ancora una volta ad un Leviatano
mostruoso per quanto succedaneo.
Intanto non può rinunciare al suo patrimonio di lavoratore,
l’unico in suo possesso.
Se gli si toglie l’aspettativa del lavoro rimane un uomo, ma
errante e nemmeno fra sogni tramontati e accettazione forzata.
Smarrito senza meta.
Il tramonto dell’uomo ? sta per tramontare l’era dell’uomo?
Siamo alla svolta postumana? E’ una prospettiva accettabile con
tutto lo scientismo che è possibile accettare ?
Franco Petramala