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il Fondino del 13 Settembre 2012
Insegnamento di una prozia
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Un manoscritto anonimo
ritrovato per caso in una vecchia piccola biblioteca dimenticata
“Insegnamento di una prozia”
Ho sempre avuto reazione istintiva e senza scampo: quello è
buono e quello è cattivo; chi è buono è buono, chi è cattivo è
da tollerare ma senza timori.
Così ho sempre avuto ribrezzo per la violenza e mai mi sono
misurato con uno meno forte di me.
Una sfida sempre per non rattristarsi, dopo,
nella eccitazione della rabbia e della violenza di cui
essa si nutre, quindi avendo sempre umilmente, per di più senza
iattanza, evitato la competizione “usque ad mortem”.
Mi sono finanche adibito al perdono, si adibito, costante quasi
acritico, ritenendo che così facendo avrei migliorato il mondo e
non davo proprio l’impressione di un debole.
E quando ho appreso le teorie fichtiane sulla evoluzione della
storia come teatro del conflitto permanente o prevedibile, ho
sempre tenuto un atteggiamento di difesa intellettualmente e
strategicamente appostata.
Col passare del tempo, però, ho constatato che la retrocessione
dei miei sentimenti e dei miei istinti di conservazione,
sottraevano me stesso alla competizione, impoverendo lo scenario
divenuto meno popolato proprio per l’assenza del mio esercizio
aggressivo, ancorchè meditato.
Troppo tardi, per non compromettere l’equilibrio di una vita.
Sicchè, per sopravvivere alla delusione ed alla constatazione
che l’errore era stato un errore, ho cercato in me stesso le
ragioni della sopravvivenza, in fin dei conti unicamente le
energie indispensabili.
Ed ho scavato ancora più di quanto non lo avessi fatto prima e
prima di arrivare allo zoccolo duro del cunicolo della miniera,
ho avuto tempo e spazio per rinnovare la fiducia in me stesso e
nell’insegnamento della mia bellissima prozia.
Bellissima, si ! non aveva un corpo bellissimo, anzi neanche
bello e neanche normale, ma non vi avevo fatto caso; piccola e
ossuta, deforme e gibbosa, eternamente affaccendata ad accudire
i nipoti a cui voleva un bene infinito e totale. Dedita
all’uncinetto ed abilissima, il movimento di quelle mani le
avrebbe permesso i reticoli complicati e mirabili.
Ho avuto da bambino la sensazione che quella persona non avesse
un corpo suo perché quello che appariva era come trovato per
caso, lasciato lì, senza che il
creatore ci avesse pensato più di tanto.
Avevo la sensazione, sempre, quando le davo la mano o le baciavo
le scarne gote, o mi lasciavo abbracciare quel poco che lei si
consentiva, che non toccavo una cosa fisica ma sfioravo
semplicemente una anima.
Ho imparato da Lei, che l’anima esiste ma non me lo disse; ed ho
imparato da lei che l’anima è una cosa bella e che al di là del
bene del male, c’è una sostanza senza tempo né spazio né
spessore né altezza, una particella di dio appunto, che vaga e
si posa, ruota e suggerisce agli umani; ma in linguaggio avulso
e sconosciuto non paragonabile a quelli in uso sulla terra e nel
tempo dei tempi; particella e sostanza, dovunque, fatta di
quella cosa prima dell’uomo e dopo l’uomo in cui affoga l’uomo.
Anche questo ho imparato da lei senza che lo avesse
mai detto.
Da lei imparai la reazione all’ ingiustizia e la sofferenza per
tutte le ingiustizie, osservando gli occhi gonfi di pianto
mentre pudicamente rileggeva le lettere di un suo fratello
scappato di casa a 13 anni perché non accettato dal padre,
emigrato in Brasile, disperato perchè non potè mai riabbracciare
la madre morta.
Mi ha dolcemente instillato il gusto delle piccole cose e di
quelle povere, la comprensione di poveri di spirito, l’attesa
delle innocenti soddisfazioni, l’affetto e la durevolezza che
può ispirare il suggestivo possesso di una stilla di
universalità colta nei momenti della sua grande solitudine,
leggendo Manzoni o le poche poesie di lei, composte una volta
terminati gli studi alla Sesta Elementare, nel 1910.
Le ridevano gli occhi quando con santa pazienza e quasi ogni
giorno mi faceva ripetere le coniugazioni dei verbi, dopo il
gioco.
Anonimo