apolidi

il Fondino del 10 Luglio 2012

Gli Apolidi

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C’è qualcosa di immaginifico ma di azzeccato nelle definizioni del “Giornale” di ieri.

Fra il serio e il faceto includeva il FLI e altre formazioni fra gli apolidi della politica, senza patria e ormai senza territorio.

Con qualcuna di esse che guarda a Casini come un isolotto per un approdo di fortuna; a ben considerare anche Casini non resisterà a lungo nell’autodefinirsi “moderato” e dovrà cedere alla suggestione di essere considerato  apolide, anche egli, senza patria e senza territorio; nel suo caso con una patria ormai irrintracciabile ed un territorio in affittanza dal PD, più o meno come prima del gran rifiuto a Berlusconi, in affittanza dalla destra.

Il teorema  non sembra propriamente validabile perché ancora non possono prevedersi gli esiti della legge elettorale e perché ancora i nominalismi funzionano. E funzioneranno finche il partito trasversale della spesa pubblica continuerà a dominare  la politica italiana, senza l’attendibilità delle motivazioni che pure nella prima repubblica erano come accettati.

Qualcuno ha fatto rilevare che la imposizione di tasse nuove e maggiori è accettata e non succede  nulla o quasi, ma guai a toccare la spesa pubblica.

E non è nemmeno la spesa pubblica il filo da tirare per venire a capo della crisi del paese. E’ invece la riscrittura della sua struttura, del suo modo di funzionare e di essere. Finalmente la cultura di un paese con una sua identità costante e condivisa.

Ne accenna Riello intervenuto in difesa di Squinzi, viceversa assalito dai vari Montezemolo Tronchetti Provera e Bernabè, come in una scena drammatica dei “defensores  fidei”, più normalmente definibili “defensores Monti”, con accanimento come fossero mentori di sé stessi.

Qualcuno un giorno scriverà uno psicodramma sulla opportunità di moltissimi a rifuggire dalle responsabilità nascondendosi dietro un governo tecnico per fargli svolgere un compito molto politico di condurre per conto del ceto politico un paese sempre più dipendente dai Cavalli Ragionieri di Swiftiana memoria e sempre meno dalla politica secolarizzata.

Forse Squinzi non ne è consapevole, ma ha rotto con il suo atteggiamento le separatezze e le divisioni pregiudiziali, sviluppando un ragionamento di sincerità che rappresenta la volontà e la rabbia dell’economia reale che si distingue dai giochetti finanza.

Ieri Squinzi ha ridimensionato la portata delle sue dichiarazioni. "Non me le aspettavo, sono polemiche basate su frasi decontestualizzate dal discorso generale in cui il senso era diverso", ha detto.

"Non sono le mie dichiarazioni a far salire o scendere lo spread - ha proseguito - e non è in atto un asse con la Cgil", ha proseguito ancora in polemica con Monti.

In effetti è stato rassicurante verso i suoi critici, interni alla organizzazione industriale, ma lungi dall’essere considerata una retromarcia, è l’indicatore della attendibilità delle sue opinioni; in fin dei conti le vuole difendere proteggendole dagli agguati, si ritiene.

In questo crocevia un poco drammatico e un poco burlesque, Monti appare il meno sprovveduto e il più risoluto in questa tenzone, presentandosi come chi conosce meglio degli altri la politica come si fa in Italia, in assenza di qualunque sociologia dello sviluppo e riducendosi tutto a far quadrare i conti.

Naturale che Monti si riservi di valutare la opportunità di rimanere alla guida del governo italiano dopo il 2013, dopo cioè le elezioni.

Guarda caso per la gioia degli “apolidi” di cui si è detto  e di chi non ritiene di fare come Cesare al Rubicone ma piuttosto come l’asino di Buridano.

A vantaggio finale di una destra sfiduciata dopo la baldanza di questi anni, che mostra tuttavia  la  volontà di esserci sulla scena della politica.

D’altra parte in Italia la destra non  ha pensato di rappresentare interessi conservatori, ancorchè  legittimi e socialmente apprezzabili,. Ha preferito sempre la scorciatoia della rappresentanza politica. Così la società italiana ha subito violenze gravissime, negatività che si porta appresso.

Le mediazioni della socialità cristiana e delle rappresentanza del mondo del lavoro, autonomo e dipendente, hanno tentato di arricchire le autonomie locali per renderle presidio di sviluppo e di tenuta democratica, mediatrici delle finalità solidaristiche.

Ma è apparso il Sindaco sovrano, poi Il presidente della Provincia sovrano, infine il Presidente di regione sovrano e qualcuno pensa di completare l’opera con il Presidente della Repubblica sovrano.

Avessero un contenuto reale tutte queste prerogative sovrane, se ne potrebbe ragionare.

 Il fatto è che le sovranità di questi rappresentanti del popolo si sono ridotte  a rappresentare la penuria di mezzi e di risorse, vocazione ad arrangiarsi, costretti all’impotenza da un sistema centralistico che sta facendo diventare tutto periferico ed impoverito, altro che federalismo.

Una sovranità a parole come dice Diamanti su “Repubblica ”.

Sullo sfondo la legge elettorale. Napolitano incoraggia perchè si concluda e si faccia presto, ma ognuno sogna il risultato migliore e tutti bramano una transizione più lunga e ancora più lunga, che duri  magari con Monti ancora Presidente del Consiglio.

E’ come un miraggio sullo sfondo un partito cattolico, ad oggi imprendibile, inimmaginabile, quindi un sogno o una ipotetica realtà, forse un atto di speranza.

Non avrebbe comunque senso se non fosse suggerito da scelte decise e precise sul cammino futuro della società italiana nella direzione della sua normalità tuttora non raggiunta, tante volte colpevolmente evitata.

Franco Petramala