Che guazzabuglio!

il Fondino del 04 Novembre 2012

Che guazzabuglio!

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La politica in Italia è divenuta incomprensibile, come le pagine di un libro che abbia le righe messe alla rinfusa senza ordine, una riga dopo l’altra; segui un ragionamento ed alla riga successiva viene fuori una cosa che non t’aspetti, cerchi di raccapezzarti e ti distrai perché non arrivi a riordinare, divenendo tutto illeggibile. Ogni riga è scritta in italiano ma nulla è comprensibile.

Spesso mi viene da paragonare la situazione attuale alla situazione della Repubblica tedesca di Weimar dopo la prima Guerra mondiale, ma confesso che è faticoso trovare analogie appropriate per fare osservazioni sensate.

Ma come capita spesso le parole descrivono un colore ed una sensazione e ti guidano prima ancora che riescano ad essere orientate sull’oggetto, specialmente se influenzate da personalità come quella sofferente di Hermann Hesse come in questo caso.

Sicchè diciamo che l’oggi somiglia agli anni della repubblica di Weimar. La cosa in verità non è del tutto fuori luogo, vista la sofferenza diffusa di un popolo disperatamente aggrappato ad una esperienza democratica resa poi vana dall’irrompere della follia nazista.  

Dunque, una cosa ho capito con chiarezza.

Questo sistema, messo per forza nella cornice di un sistema maggioritario per una scelta di reazione in odio alla Prima Repubblica, non funziona.  Non ha funzionato neanche quando sembrava che funzionasse.

Figuriamoci oggi.  Non funziona perché il sistema maggioritario ha senso compiuto se il popolo ha maturato una chiarezza di opinioni corrispondenti ad una chiarezza di due schieramenti. Quando invece questa chiarezza non c’è, anzi in Italia è antistorica, allora nessun partito può considerarsi tanto interclassista, come una volta si diceva, oppure comprensivo delle sensibilità più varie, tanto da porsi seriamente all’attenzione del cittadino che rimane l’arbitro del proprio destino contribuendo alla partizione dello schieramento politico in due.

E poiché i partiti non sanno risolversi e dando indicazioni attendibili perché ciò non è semplicemente nelle loro possibilità, è giusto o sarebbe giusto che proprio gli elettori pensassero a rendere percepibili i temi della politica e con essi degli schieramenti o tutto ciò che si vuol dire con la espressione “prender partito”.

Il modo come raggiungere un risultato è proprio un sistema elettorale proporzionale, dove ogni sensibilità si possa riconoscere in una propria identità e possa rintracciare le ragioni della partecipazione alla democrazia attiva, evitando intanto l’assenteismo.

Esso prima ancora di essere indice di distacco del cittadino, è depauperamento del contributo di tanti cittadini per quanti ne rappresenta addirittura il 53 %.

Né vale il paragone con la democrazia degli Stati Uniti, dove votano meno del 50 %, perché in quel sistema il maggioritario è originariamente adottato e poi perché chi non vota ha di fatto delegato chi va a votare con un si o un no, votando un partito o l’altro dei due. La scelta cioè ha senso perché il contesto ha chiarezza di contenuti, riassunti nei due partiti.

Nel nostro caso nessuno meglio dell’elettore potrà dipanare questo groviglio, perché è l’elettore che si riappropria della rappresentanza della propria identità.

Successivamente potranno anche esserci ricomposizioni più o meno complesse fra le diversità o le similitudini.

Ma in prima battuta non può che essere il popolo a riappropriarsi del potere di decidere del suo futuro politico.

 Il valore dell’alienazione del cittadino dal contesto politico ed istituzionale sta tutto qui.

Qualcuno ha suggerito, mi pare Berlusconi, di adottare il sistema spagnolo che è quello per cui i collegi elettorali uninominali, essendo piccoli, difficilmente potranno essere conquistati da partiti piccoli e pertanto il sistema diventa maggioritario.

Tuttavia, con tutte le cautele e gli sbarramenti possibili si potrebbe adottare un sistema proporzionale e uninominale in modo da arricchire il dibattito politico e in modo da determinare le scelte in base alla forza complessiva di raggruppamenti che non polverizzino eccessivamente la rappresentanza.

Certamente questo smonterebbe e di molto la prepotenza, letteralmente la potenza anteposta a tutto, dei maggiori partiti di oggi, sterili contenitori di nomenclatura improduttiva e quindi irritante e costosa; pare che questo ragionamento possa favorire l’alternativa così detta di Grillo.

Ma non è così perché anche Grillo dovrà misurarsi con concorrenti veri e non con concorrenti finti, come attualmente succede, dovendosi misurare con finti partiti in finte elezioni che sono il prologo di altre elezioni, vista la instabilità politica che si determina in continuo.

Perché? perché dovrà misurarsi ed essere misurato e valutato da formazioni politiche che avrebbero un riferimento concreto in quelle sensibilità dei cittadini che non trovano possibilità di esprimersi e sopravvivere.

 La crisi italiana è crisi di fiducia in sé stessi perché non si costringe chi è abituato a correre verso una meta, non solamente di stabilità economica ma anche di certezze politiche, a star fermo in attesa che qualcuno gli fornisca un “tapirulant”, cioè una corsa artificiale e finta.

Un popolo come quello italiano che ha provato, per cultura individuale e collettiva e per cultura politica democratica, il senso del futuro, per non rassegnarsi non può che riprogettare attingendo alla sua intelligenza creativa e quindi alla sua identità, non condizionata dalle attuali sovrastrutture partitiche.

Al fine di salvarsi da un’altra catastrofe.  

Franco Petramala

 

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