La politica in Italia è divenuta incomprensibile, come le
pagine di un libro che abbia le righe messe alla rinfusa
senza ordine, una riga dopo l’altra; segui un ragionamento
ed alla riga successiva viene fuori una cosa che non
t’aspetti, cerchi di raccapezzarti e ti distrai perché non
arrivi a riordinare, divenendo tutto illeggibile. Ogni riga
è scritta in italiano ma nulla è comprensibile.
Spesso mi viene da paragonare la situazione attuale alla
situazione della Repubblica tedesca di Weimar dopo la prima
Guerra mondiale, ma confesso che è faticoso trovare analogie
appropriate per fare osservazioni sensate.
Ma come capita spesso le parole descrivono un colore ed una
sensazione e ti guidano prima ancora che riescano ad essere
orientate sull’oggetto, specialmente se influenzate da
personalità come quella sofferente di Hermann Hesse come in
questo caso.
Sicchè diciamo che l’oggi somiglia agli anni della repubblica di
Weimar. La cosa in verità non è del tutto fuori luogo, vista la
sofferenza diffusa di un popolo disperatamente aggrappato ad una
esperienza democratica resa poi vana dall’irrompere della follia
nazista.
Dunque, una cosa ho capito con chiarezza.
Questo sistema, messo per forza nella cornice di un sistema
maggioritario per una scelta di reazione in odio alla Prima
Repubblica, non funziona. Non
ha funzionato neanche quando sembrava che funzionasse.
Figuriamoci oggi.Non funziona perché il sistema maggioritario ha senso compiuto
se il popolo ha maturato una chiarezza di opinioni
corrispondenti ad una chiarezza di due schieramenti. Quando
invece questa chiarezza non c’è, anzi in Italia è antistorica,
allora nessun partito può considerarsi tanto interclassista,
come una volta si diceva, oppure comprensivo delle sensibilità
più varie, tanto da porsi seriamente all’attenzione del
cittadino che rimane l’arbitro del proprio destino contribuendo
alla partizione dello schieramento politico in due.
E poiché i partiti non sanno risolversi e dando indicazioni
attendibili perché ciò non è semplicemente nelle loro
possibilità, è giusto o sarebbe giusto che proprio gli elettori
pensassero a rendere percepibili i temi della politica e con
essi degli schieramenti o tutto ciò che si vuol dire con la
espressione “prender partito”.
Il modo come raggiungere un risultato è proprio un sistema
elettorale proporzionale, dove ogni sensibilità si possa
riconoscere in una propria identità e possa rintracciare le
ragioni della partecipazione alla democrazia attiva, evitando
intanto l’assenteismo.
Esso prima ancora di essere indice di distacco del cittadino, è
depauperamento del contributo di tanti cittadini per quanti ne
rappresenta addirittura il 53 %.
Né vale il paragone con la democrazia degli Stati Uniti, dove
votano meno del 50 %, perché in quel sistema il maggioritario è
originariamente adottato e poi perché chi non vota ha di fatto
delegato chi va a votare con un si o un no, votando un partito o
l’altro dei due. La scelta cioè ha senso perché il contesto ha
chiarezza di contenuti, riassunti nei due partiti.
Nel nostro caso nessuno meglio dell’elettore potrà dipanare
questo groviglio, perché è l’elettore che si riappropria della
rappresentanza della propria identità.
Successivamente potranno anche esserci ricomposizioni più o meno
complesse fra le diversità o le similitudini.
Ma in prima battuta non può che essere il popolo a
riappropriarsi del potere di decidere del suo futuro politico.
Il valore
dell’alienazione del cittadino dal contesto politico ed
istituzionale sta tutto qui.
Qualcuno ha suggerito, mi pare Berlusconi, di adottare il
sistema spagnolo che è quello per cui i collegi elettorali
uninominali, essendo piccoli, difficilmente potranno essere
conquistati da partiti piccoli e pertanto il sistema diventa
maggioritario.
Tuttavia, con tutte le cautele e gli sbarramenti possibili si
potrebbe adottare un sistema proporzionale e uninominale in modo
da arricchire il dibattito politico e in modo da determinare le
scelte in base alla forza complessiva di raggruppamenti che non
polverizzino eccessivamente la rappresentanza.
Certamente questo smonterebbe e di molto la prepotenza,
letteralmente la potenza anteposta a tutto, dei maggiori partiti
di oggi, sterili contenitori di nomenclatura improduttiva e
quindi irritante e costosa; pare che questo ragionamento possa
favorire l’alternativa così detta di Grillo.
Ma non è così perché anche Grillo dovrà misurarsi con
concorrenti veri e non con concorrenti finti, come attualmente
succede, dovendosi misurare con finti partiti in finte elezioni
che sono il prologo di altre elezioni, vista la instabilità
politica che si determina in continuo.
Perché? perché dovrà misurarsi ed essere misurato e valutato da
formazioni politiche che avrebbero un riferimento concreto in
quelle sensibilità dei cittadini che non trovano possibilità di
esprimersi e sopravvivere.
La crisi italiana è crisi
di fiducia in sé stessi perché non si costringe chi è abituato a
correre verso una meta, non solamente di stabilità economica ma
anche di certezze politiche, a star fermo in attesa che qualcuno
gli fornisca un “tapirulant”, cioè una corsa artificiale e
finta.
Un popolo come quello italiano che ha provato, per cultura
individuale e collettiva e per cultura politica democratica, il
senso del futuro, per non rassegnarsi non può che riprogettare
attingendo alla sua intelligenza creativa e quindi alla sua
identità, non condizionata dalle attuali sovrastrutture
partitiche.