Dal titolo avevo immaginato una di quelle trattazioni
sociologiche ed economicistiche o di valutazioni politiche
complicate, alla ricerca di risposte ai quesiti sulla vita dei
borghi tuttora abitati e tuttavia in crisi.
La lettura del volume invece mi ha rivelato l’attenzione
graziosa dell’autore per i luoghi natii vivi o non scomparsi,
commossa infine.
Le case e i portali, la chiese e gli spazi comuni,
l’ethos della comunità di Santo Stefano di Rogliano saranno
mutati, tuttavia in parte resistenti al tempo, dotati della
forza affascinata della memoria degli abitanti e del ricordo dei
suoni del dialetto, dei giochi di noci, delle voci con voci dei
bimbi.
Ho mirato l’amore dell’autore per quelle pietre e
quell’atmosfera descritta con la bonomia sua usuale inducendo
una lettura senza ansia con un filo di sorriso costante sulle
labbra, quasi partecipando con l’Autore a quel vissuto.
Ed ho ripensato a quel che mi diceva un amico qualche
giorno fa, un amico con molti mezzi, che sosteneva la
opportunità di allevare il figlio appena nato, almeno fino
all’età della adolescenza inoltrata, in un borgo come quello
raccontato da Francesco Garofalo.
L’equilibrio e l’umanità del figlio da adulto si
sarebbero arricchiti in quel piccolo cosmo di intimità e di
pudori, temperando l’effetto dell’assedio degli inevitabili
mezzi della comunicazione moderna.