tutto l’Altro del mondo

 tutto l’Altro del mondo

Domenica mattina, ore 12. Sono in tanti i giovani che sfilano per i vicoli di una Ferrara bagnata solo da qualche nuvola passeggera. Mio figlio di undici mesi ha volato  dalla Calabria insieme e a me e a suo papà, il primo volo della sua vita per incontrare i cuginetti che vivono qui su: sopra le nuvole.  La nostra è una famiglia che ha le radici al Sud e i rami al Nord, come se ne incontrano tante sull’ aereo che parte da Lamezia verso ogni destinazione. Per la gioia del turista tipo, l’atmosfera è resa ancora più magica da un centinaio di ombrellini colorati sospesi per aria: trovata bizzarra di commercianti tenaci che aggiunge una nota di colore a quella che sarebbe potuta essere un’ uggiosa giornata di inizio Giugno. Ci sentiamo un po’ tutti come in una favola: “c’è Capitan America”, “c’è Superman”, me li indica la persona che mi cammina accanto. La città vive la sua terza giornata dell’evento “Ferrara in Fiaba”. Ci sono i giovani della goliardia, del divertimento e probabilmente quelli dello “svacco”, radunati in qualche bar più periferico. Passeggiamo per i raffinati vicoli medievali quando ci imbattiamo in un capannello di ragazzi sulla ventina. La camminata spavalda, l’atteggiamento sicuro e divertito ne fanno ragazzi di vent’anni come tanti. Hanno con loro dei cartelli con delle scritte bizzarre: giocano a scandalizzare i passanti. Mio fratello, rimasto qualche passo più indietro, coglie la provocazione e rilancia: “Nessuno vi nota”, dice procedendo. A questo punto come in un film succede quello che non ti aspetti, e i ragazzetti si trasformano in maschere aggressive: “NOOOOTAAAA NOOOTAAAA LA MIIIINGHIAAA” ci urlano contro, una due tre volte. Traditi da un accento troppo meridionale, continuiamo per la nostra strada. Passiamo oltre, noi famiglia mista. Il figlio del Nord abbraccia suo papà del Sud. La scena mi fa tornare in mente quanto la paternità non sia semplicemente un rinnovamento del padre nel figlio e la sua confusione con lui, ma soprattutto << un modo di esistere pluralistico>>. Com’è plurale il modo di esistere dell’umanità quando essa è realmente tale. Più incredula che perplessa, ripenso all’accaduto: possibile che sia stato solo per l’accento? No, che non era solo per l’accento. È perché noi siamo il Sud: l’ Altro. E nel momento esatto in cui lo realizzo sento di essere tutto l’Altro del mondo riscoprendo di botto il senso di un’affermazione del filosofo ebreo Emmanuel Lèvinas :<< l’Altro in quanto Altro è Altri>>, espressione tanto cacofonica quanto vera. Quella frase volgare cui proprio non riuscivo a trovare un senso: “NOOOTAAAA NOOOTAAAA LA MIIIINGHIIIAAA” urlataci contro con tanta violenza, risuonandomi in mente si manifesta all’improvviso con un nuovo significato. La colgo per quello che è: il tentativo maldestro di ridurre l’Altro al Medesimo, di ridurre ogni cosa a se stessi. Versione casereccia (ma neanche troppo!) degli slogan abusati da sedicenti politici che “profetizzano”: “Prima gli Italiani”. Tanto gli Altri, quelli che vengono dopo, li guardiamo arrivare sui barconi in tv, senza mai incrociarli faccia a faccia, nella nudità dei loro volti. Eppure, in mezzo a questi vicoli, a dispetto dell’incontro appena fatto, nella mia qualità di “Altri”, mi sento a casa. A casa, come potrei esserlo per le viuzze strette del mio paese, in mezzo alla mia gente perché il mio Sud è un Altro. È il Sud della mia famiglia orgogliosamente meticcia; dei miei nipoti che fra qualche anno avranno un accento diverso da quello dei loro nonni, ma non per questo li ameranno di meno; dei tanti amici che frequento poco perché vivono, studiano e lavorano altrove, con successo. Il mio Sud è quello che non ha paura di ricominciare da un’altra parte, che sa dire grazie per le opportunità che il resto del mondo può e sa offrirgli. È un Sud che non teme l’avventura, che è consapevole dei propri difetti e non li nasconde né li difende, ma con ostinazione e tenacia prova a cambiarli, anche quando questo vuol dire andarsene. È il Sud con le mani sporche di terra, ma non di sangue. Un Sud che tante volte non è stato all’altezza delle mie aspettative, come troppo spesso non lo sono le persone che amiamo, ma non per questo un Sud che amo di meno. È un Sud che non si vergogna della propria Alterità, ma la rivendica e la condivide anche con chi non sempre sa apprezzarla; che parla le lingue del mondo e nel mondo si sente a casa propria. È il Sud di tutti quei meridionali che sanno fare dell’appartenenza un valore senza diventare intolleranti; di tutti coloro che non hanno paura di pronunciare “noootaaa” al posto di “nota” e che se ne infischiano di uniformarsi solo perché è più comodo. È il Sud di mio figlio che da Settembre, quando io e lui ci trasferiremo in Veneto per il mio lavoro, frequenterà bambini del Nord in un asilo del Nord, e diventerà grande prendendo il meglio del Nord e del Sud grazie alla sua famiglia orgogliosamente meticcia. A chi alza barriere, disegna confini, schernisce e agita lo spauracchio dell’Altro mi sento solo di dire: venite a casa mia. A quei ragazzi tra i venti e i trent’anni che vivono la stagione più esplosiva dell’ esistenza mi viene voglia di dire: frequentate tante persone, conoscete più che potete prendete a due mani tutte le possibilità che il mondo vi offre, e perché no? Venite al Sud, esploratelo anche per criticarlo, ma non vi fate fregare da chi vi vorrebbe vendere un’ immagine stereotipata e stantia. Non vi perdete l’occasione di scoprire la bellezza anche al Sud. A casa mia è stata una donna del Nord a conquistare un uomo del Sud e un uomo del Sud a conquistare una donna del Nord. Chissà che non sia questa la strada da percorrere. In fondo, la storia insegna: quale strategia migliore che unire un uomo e una donna in matrimonio per sancire improbabili alleanze?

 

Federica Longo