Mobydik

Barbara Spinelli

Moby Dick o l’ossessione del male

Editore  Morcelliana

 

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Leggo di Melville ed ho la tentazione di approfondire, avvertendo sempre motivi maggiori per “comprendere” il suo viaggio: lungo quanto il viaggio di una vita, intenso e compreso in una esistenza.

La medesima sensazione rileggendo di Gulliver, sebbene l’uno in un viaggio all’infinito in  mare e l’altro di approdo in approdo con il pensiero costante al porto di partenza.

 

Sempre però ritorno alle impressioni della prima lettura nell’uno e nell’altro caso.

 

Non saprei dire compiutamente, ma spesso mi soffermo su quanto dovesse essere significativo per Melville l’indagine dentro di sé e quanto assomigli a quelle altre indagini di Scrittori e intellettuali di lingua tedesca di Weimar, alla vigilia della Grande Tragedia, molto probabilmente presaghi, l’uno e gli altri  di quel che sarebbe successo.

 

Barbara Spinelli con due efficaci colpi di scena, da maestra del giornalismo,  attualizza il coro recitato “ dai candidati berlusconiani del centro destra il 20 marzo 2010 in Piazza S.Giovanni di Roma, come il tentativo di liturgia che configura simbolicamente il totalitarismo”.

 

E l’altro in quanto la crisi americana sta dando luogo ad una sorta di catarsi che   Obama interpreta senza distinguo culturali sulla storia di un paese pronto a rimettersi in cammino, da sagace primo Presidente nero.

 Dice molto la necessità di considerare insieme fino a confrontare la miseria della situazione italiana e la speranza dell’America. E’ nella tradizione dei democratici liberali.

 Ed è per il Bene che il mondo oggi si interroga, certamente !!

 Ma è il Male che induce a scegliere.

 Scrive la Spinelli: “Porre il male fuori di sé e considerarlo un dato ineluttabile della creazione può tramutarsi in trappola.

Non solo è una fuga gnostica in una trascendenza che rifiuta di sporcarsi le mani, di partecipare alla esistenza e alla sua inesorabile finitudine.

E’ anche fuga dalla sua finitudine, dalla propria colpa; fuga paradossalmente simile a quella di chi interiorizza ogni disastro, ogni misfatto, ogni colpa. Il Male di Auschwitz puoi e devi introiettarlo, certo, ma non oltre un certo limite: se lo trasporti nella sua integralità dentro l’anima umana, finirai col decretarne tu la fine e considerare derisorie la lotta e la resistenza, ogni volta che esso in forme diverse si ripresenta nel teatro del mondo.. E’ quel che accade al motto  - sempre più ebete, insensato – che sentiamo regolarmente pronunciare e che ci viene impresso nella mente fin dai banchi di scuola.

“Mai più Auschwitz !!” come se bastasse recitare ripetutamente il mantra, nel chiuso della propria intimità per evitarne la ripetizione. Come se Auschwitz non si fosse nel frattempo già ripetuto e non stesse ripetendosi anche oggi, probabilmente in qualche parte del mondo. Satana, in altre parole, sta dentro di noi e fuori, sempre.  Non è né tutto fuori né tutto dentro”.

 In una specie di processo di inclusione, continua sciabordando la malinconia del Male ed il Furore nel tentativo di vincerlo, determinando spesso il colore del quotidiano e lo sguardo lontano del quotidiano peregrinare di Achab,; purtroppo egli non ha orizzonti che non siano la superficie del mare calmo e l’attesa del soffio.

 E’ più vero così, più concreto il dissidio e più oggettiva e comprensibile la diversità tra Achab e Moby Dick.

 L’uno è diverso dall’altro pur se il capodoglio è l’unico essere che il capitano prende sul serio ritenendolo degno della sua rivalità, o meglio l’occasione e la misura della sua vitalità.

 E ritorna eterna la domanda che ispira: la saggezza è prima della creazione ?

 

Franco Petramala