E’ una lettura importante e illuminante sull’origine dei partiti durante
la rivoluzione francese o meglio con il consolidarsi dei giacobini.
Ma è significativa anche della ripulsa verso una organizzazione, il
partito appunto; nel campo visivo di esso c’è la vocazione a
rendere legittimo ciò che la
maggioranza ritiene lo sia.
La Weil è critica ed è illuminista senza i complessi della sua
testimonianza politica dal 1930 al 1943, straordinario esempio di
capacità critica, perché “il bene è bene in sè” senza che ciò sia
influenzato da alcuna maggioranza.
“La verità è una. La giustizia è una. Gli errori, le ingiustizie, sono
indefinitamente variabili. Così gli uomini convergono nel giusto e nel
vero mentre la menzogna e il crimine li fanno indefinitamente
divergere”.
Sembra leggere uno scritto di etica come il Manuale di Epitteto, invece
è il ragionato rifiuto di ciò che è autoritario ed autoreferenziale
nell’epoca delle ideologie e delle sue violenze.
Una domanda di attualità: oggi i partiti politici rappresentano davvero
la volontà dei cittadini o sono dei semplici organismi che hanno come
unico scopo quello di riprodursi?
Davanti a tale giudizio negativo, serve tornare indietro al tempo in cui
gli atti politici della Francia del 1789 erano i “cahiers
de doléances” espressione della democrazia diretta ? E serve
riportarsi all’epoca del dissenso della Weil ?
Forse è importante domandarsi: se la società è cambiata e i partiti
hanno orientato la società nell’ottocento e nel novecento, il
cambiamento è governabile dallo “schema-partito” che rischia ogni giorno
di apparire un recitante senza copione o peggio un recitante un copione
incomprensibile ?.
Simone Weil abbandonò l’insegnamento per lavorare come manovale in
fabbriche metallurgiche; militante comunista antistalinista partecipa
alla guerra civile in Spagna; muore nel 1943 a soli 34 anni in
sanatorio.
Come per lei, durerà a lungo la
dedizione di ognuno alla verità e al bene.