Stefania Perrotta, laureata in Scienze dell'Educazione,
parla di disabilità
e pedagogia
Se chiedete a
Stefania cosa vuol fare da grande, lei vi risponderà
decisa, con uno dei suoi contagiosi sorrisi: «il Ministro
della Pubblica istruzione! ».
Stefania
Perrotta ha 28 anni e soffre della sindrome di down.
L'idea di diventare
Ministro le
è venuta
dopo aver ascoltato in tv Maria
Stella Gelmini «Secondo me - dice - ignora le
problematiche dei disabili e in genere riscontro grande
ottusità verso questo tema. Per questo mi piacerebbe fare il
Ministro per redigere una nuova carta dei diritti per i
disabili».
Stefania non
parla a vanvera, ma con grande cognizione di causa. Si
è infatti laureata in Scienze dell'Educazione con una tesi
sulla relazione madre/figlio alla luce della teoria
dell'attaccamento di Bowlby.
Arrivare
alla laurea
è stato difficile?
«All'inizio no perchè sono una persona curiosa e mi piace
studiare. Ultimamente per problemi sentimentali il
rendimento è calato. Ma per fortuna ho preso 102 e quindi
posso partecipare ai concorsi sennò sarebbe stato un
disastro».
Chi
ti ha aiutato nel percorso di studi?
«Nessuno ho fatto tutta da sola sia la triennale sia la
specialistica. Mia madre mi ha solo incoraggiata»
Ma hai mai
avvertito sulla tua pelle forme di discriminazione?
«Fra quelli che mi conoscono assolutamente no. In altre
persone purtroppo sì,
ma perché la gente è ottusa, ma a me non interessa anzi
glielo faccio notare subito con i miei atteggiamenti».
E tu, ti
sei mai sentita a disagio con te stessa?
«Maassolutamente no.
Io penso che la sindrome non sia una barriera ma un
facilitatore neirapportisociali, penso che sia una condizione che rende
speciali le persone».
E sempre così?
«Non sempre»
E
perchè?
«L'ho scritto in parte nella
mia tesi.
Il vero punto è garantire ai ragazzi
disabili momenti di vera autonomia. Penso che molto
spesso sono i genitori a rovinare, senza volerlo, i figli
che presentano alcune disabilità perché tendono a
sostituirsi completamente a loro. Anche noi, invece, abbiamo
il diritto di fare
le nostre esperienze, magari negative
come il caso del mio ex fidanzato, ma che ci aiutano,
come tutti, a crescere. Lo dico spesso anche a tutte le
persone che frequento anche se hanno deficit, se un ragazzo
ha un'area compromessa o un deficit non è compromessa tutta la sua
persona, i genitori devono lasciarlo e lasciarci
socializzare, comunicare con gli altri, devono darci la
giusta dose di autonomia»
E tu ne hai avuto?
«Si io ho lottato per uscire da sola i sabato pomeriggio con
le amiche, dal 2009 ho iniziato a uscire e forse sono stata
una delle prime persone affette dalla sindrome. Questo
perché ho trovato persone fantastiche come Fernanda che mi
ha accettato e mi ha
portato ad uscire. Devo dire anche un grazie immenso
a mia sorella Francesca che si è sempre occupata,
preoccupata, è stata male per me, ha
lottato insieme a me».
È contenta che ti sei laureata?
«Si molto anche se adesso vive a Torino dove lavora per una
multinazionale americana e mi manca da morire perché per me
è più di una sorella, più di una seconda madre, una persona
davvero speciale».
E adesso cosa vorresti fare?
«Bé forse avrò una borsa di dote
lavoro. Quello che vorrei
fare è continuare ad occuparmi di bambini e
inserimento scolastico, anche a livello universitario. Mi
piacerebbe fare il tutor, aiutare i ragazzi con disabilità a
redigere il loro piano di studi, individuare i percorsi
formativi più adatti, dargli assistenza quotidiana nel loro
percorso universitario. Io sono molto paziente e ordinata, a
casa mi chiamano zio Osvaldo».
Zio Osvaldo?
«Si - ride - è lo zio di mia
madre e di
sua sorella, famoso per la sua pignoleria. Io vorrei
lavorare in questo campo perché lo ripeto è vero che noi
disabiliabbiamola
104, tante agevolazioni, ma le strutture pubbliche preposte
non mi sembra abbiano ben chiaro cosa fare. In alternativa
mi piacerebbe anche lavorare in un centro di ascolto per
bambini e anziani».
E se non dovessi riuscire?
«Non
lo so, magari trovo un ragazzo e mi sposo. Guarda che ho
tanti interessi: la musica, il canto, il teatro. Adoro
Edoardo De Filippo e ogni tanto scrivo pure, quando faccio
dei pensieri provo a metterli in situazioni da teatro».
intervista di Massimo Clausi apparsa sul
"Il Quotidiano" del 25/04/2019