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Francesco Lupinacci è nato a Casole
Bruzio (Cosenza) il 27 maggio 1937. Ha frequentato le BB.AA: di Roma. E’
laureato in Filosofia presso l’Università di Salerno. Dal 1970 dirige il
liceo Artistico di Cosenza. Vive e lavora a Rende (Cosenza). Dopo le
esperienze neo-figurative dei primi anni Sessanta e il tirocinio romano
(1964), nel 1965 inizia una ricerca polimaterica prediligendo il legno e
il ferro. Con precisi riferimenti iniziali all’opera di Burri, lavora
all’interno dell’informale operando una essenziale esemplificazione
analitica che lo porta via via (1967-1969) ad una sorta di citazione che
si configura in un segno (arco) di provenienza etrusca e romana di
derivazione architettonica. Questo segno viene elaborato nel 1970 con
metalli e superfici di singolare rigore scenico..
Abbandona la materia nei primi anni Settanta e ritorna alla pittura con
la presenza del segno quale costante modulare, successivamente motivo
conduttore di un’analisi pittorica al limite della percezione. Ma la
materia, elemento centrale della sua ricerca, riappare nel 1977
riproponendo un nuovo ciclo di ferro. In un contino dialogo con se
stesso, di profondo disagio esistenziale, l’artista diviene attento al
recupero del passato storico, della storia dell’arte, del citazionismo
e, in una sorta di comparazione con l’opera d’arte (Masaccio-Giotto,
ecc.) ne dimostra le affinità coloristiche; il segno, enunciato ai
margini su fondi neri, diviene ora solitario testimone di una profonda
“rivisitazione”, interprete del cambiamento post-moderno in atto.Abbandona la materia nei primi anni Settanta e ritorna alla pittura con
la presenza del segno quale costante modulare, successivamente motivo
conduttore di un’analisi pittorica al limite della percezione. Ma la
materia, elemento centrale della sua ricerca, riappare nel 1977
riproponendo un nuovo ciclo di ferro. In un contino dialogo con se
stesso, di profondo disagio esistenziale, l’artista diviene attento al
recupero del passato storico, della storia dell’arte, del citazionismo
e, in una sorta di comparazione con l’opera d’arte (Masaccio-Giotto,
ecc.) ne dimostra le affinità coloristiche; il segno, enunciato ai
margini su fondi neri, diviene ora solitario testimone di una profonda
“rivisitazione”, interprete del cambiamento post-moderno in atto.
Un rapporto con la cultura della storia che nel 1979, inUn rapporto con la cultura della storia che nel 1979, in
Rivisitazione del vissuto, si caratterizza con riproduzione
dell’opera (Giotto, Masaccio, Piero della Francesca) su tela sensibile e
copertura di colore e velatura, e stesura successiva del segno (arco) su
tutta la superficie (nel 1978 aveva momentaneamente abolito l’immagine
con esclusiva citazione dell’opera alla quale si riferiva nella
risoluzione pittorica).
Gli anni Ottanta ritrovano Lupinacci attento a coniugare materia e
pittura attraverso l’uso dei sugheri i cui il sottile gioco delle
“trasparenze” riappare come motivo dominante della acuta sensibilità
dell’artista, sempre ormai più attento a tessere un vocabolario
linguistico in cui materia e pittura, memoria e storia, moderno e
post-moderno sono elementi di una stessa costante dialettica.
Costante dialettica che nel 1983 costruisce il nuovo cicloCostante dialettica che nel 1983 costruisce il nuovo ciclo
Etruria,
dipinti di chiara sensibilità cromatica, di sensitiva atmosfera
mediterranea in cui a volte l’uso sapiente della materia (il sughero)
diviene elemento propulsore di un’unità espressiva cristallina. Un
atteggiamento sperimentale, di verifica, di analisi del fare arte che
porta Lupinacci anche in questa metà degli anno Ottanta al ritorno alla
pittura, una pittura sempre più felicemente e coerentemente
mediterranea.
Ferdinando Miglietta
Hanno scritto sull'opera di
Francesco Lupinacci:
Enrico Crispolti, Bruno Munari, Filiberto Menna,
Nicola Scontrino, Andrea La Porta, Barbara Tosi,
Vittorio Gregotti, Tonino Sicoli, Fernando Miglietta,
Vincenzo Accame, Domenico Cara, Giorgio Di Genova,
Corrado Cagli, Giovanni Adamo, Cesare Vivaldi,
Antonio Marasco.
Franco Lupinacci è un
artista che ha lavorato alla sua arte con impegno e con accanimento
creativo costruendo il suo ragionamento, non improvvisandolo.
I suoi quadri danno la sensazione della pienezza, della compiutezza,
nella complessità.
Egli non è soltanto un artista: mi ha sempre suggerito l’idea di una
persona dalla interiorità pudìca, riconoscente al suo dipinto per
avergli consentito l“intelligere” la
realtà.
Soprattutto la realtà storica, quella espressa dalla memoria collettiva
o dall’immaginario o visionario dell’uomo, che sfugge al possesso di
chicchesia e che lascia tracce dove meno te l’aspetti.
La sua vocazione è quella di raccogliere frammenti di memoria ed
esprimerli riflettendo la sua stessa storia personale.
Il fascino poi di Franco Lupinacci sta nella sensazione delle tante,
tante altre memorie che egli è riuscito a trattenere scorgendovi tanti
altri frammenti di storia, e
che sono rimaste dentro di lui, come segno del suo essere interiore.
Per questo apprezzo la sua arte e soprattutto la persona.
Franco Petramala
Le sue opere
1960-1969 |
1970-1979 |
1980-1989 |
1990-1999 |
2000-2010 |
2010-2011 |